“Non sono una donna ed esprimo la mia femminilità”. Essere queer a 47 anni
Intanto: Alessio o Alessia?
Ale.
Perché?
Perché toglie il maschile e il femminile, e qualsiasi tipo di dubbio.
Preferisci che le persone si rivolgano a te con il femminile, piuttosto che con il maschile?
Ci sarebbero da fare due distingui. Il primo è relativo ad un’identità sociale tale per cui mi è indifferente il maschile o il femminile, e appena conosco qualcuno, gli chiedo di rifarsi a me rispetto a come mi percepiscono. Invece, per quanto riguarda un ambito più erotico e sentimentale, il femminile.
Quando si appellano a me al maschile non mi tocca, perché non ho il desiderio sociale di essere riconosciuta solo come donna, non lo sono. Ma mi sento femminile, che è differente. Mi rendo conto che essere donna implica anche un aspetto ormonale, per cui una volta al mese io non ho il ciclo, e inevitabilmente questo ha tutta una serie di azioni biologiche, in termini di umore, che io non ho. Non ho la predisposizione di essere madre, e questo, presumo che possa avere delle incidenze, anche se non so come e in che termini. Io dico sempre “Non sono una donna ed esprimo la mia femminilità.”
Se, appena conosciuti, ti chiedono quale preferisci, come rispondi?
Spesso le persone vogliono sapere da me se mi sento più maschile o femminile. Ma allo stesso tempo io potrei rivolgere la stessa domanda a te, a voi. Io percepisco che tu ti senti femminile, ma dal momento in cui ti chiedo “Prova a definire in tre aggettivi il femminile”, diventa complicato. Domando spesso questa cosa e tutti vanno in crisi. Si dà già per scontato cosa sia il maschile o il femminile, ma è diverso per ognuno di noi. Non ho mai pensato in che cosa mi sento maschio.
Il maschile o il femminile lo avvertiamo in termini energetici, ma non riusciamo a definirlo. Spesso quando io domando cos’è la femminilità, la prima risposta che tutti danno è “la dolcezza”, ma ci sono anche molti uomini che sono dolci. Allora la seconda domanda che mi verrebbe da fare è “Che differenza c’è tra una dolcezza maschile e una femminile?”. Sono domande semplicissime, ma che hanno delle risposte difficilissime.
Allora te lo chiedo così, quali caratteristiche femminili vedi in te?
Alle volte percepisco una sensibilità che tende a legarmi di più al mondo femminile, al di là di aspetti più superficiali, ho uno spirito di osservazione e una cura al dettaglio rispetto alla personalità altrui che è una caratteristica che noto normalmente più in una donna, che in un uomo.
E quali maschili?
Beh, come prima cosa, la gestione della casa, non ho questo tipo di interesse domestico nell’essere preciso e ordinato.
In generale, nella mia vita erotica e sentimentale non vedo caratteristiche maschili. Però, mi rendo conto che istintivamente posso avere delle gestualità e dei modi di fare in cui si manifesta anche il maschile; sono dei momenti, degli istanti, in cui sto facendo un’azione ed emerge un aspetto virile. Questa cosa non mi disturba per niente.
La parola queer viene spesso usata da molti, anche se non ne sanno il vero significato. Vuoi darci tu la definizione?
È un termine relativamente nuovo, avrà circa trent’anni. Quando io avevo la tua età (22 anni, ndr.) non esisteva la parola queer. Questa parola oggi racchiude tutte quelle identità che possono essere trans, non trans, anche la vecchia parola Travestito. Perché, una volta, in termini identitarie eri: maschio o femmina o trans/trav. Si parlava di figura androgina. Non veniva preventivato il fatto di avere una identità, che oggi definiamo, fluida o non binaria.
Non è però solo una questione di parole…
Inevitabilmente le parole nascono laddove cambia la società.
Il termine queer ha portato con sé una maggiore consapevolezza e comprensione nei vostri confronti?
Esatto, ha portato maggiore comprensione sia per chi non conosce questo mondo, ma anche proprio per chi lo vive. Trent’anni fa ti avrei detto “sono un travestito”; oggi invece, il poter dire “mi sento una persona queer” è più pertinente, idoneo e comprensivo.
Sveliamo un tabù: una persona transessuale viene definita tale solo nel momento in cui esegue l’operazione chirurgica?
Secondo i vecchi canoni si. Trans, allora, voleva significare intraprendere un percorso e indicava la volontà di modificarsi anche biologicamente. Oggi, invece, il significato di trans è più in termini intellettuali. Io potrei definirmi trans, ma preferisco definirmi queer; anche perché alle volte trans sta ad indicare il fatto che non vivo completamente bene una mia biologia e dunque cerco di essere più incisivo sul mio corpo.
Tu hai mai valutato di farla?
No, perché sono soddisfatta della mia fisicità. Sento una perfetta congruenza tra la mia interiorità e le caratteristiche del mio fisico. Rinascerei esattamente così.
Qual è secondo te l’opinione o l’idea che hanno gli altri di te a primo impatto?
Diverse. Alcuni mi percepiscono come un maschio gay un po’ effemminato, e sono liberissimi di percepirmi tale; altri invece più femminile in termini identitari. Ma in entrambi i casi poco maschile.
Prima di diventare queer, eri omosessuale?
Da adolescente si.
Quando hai sentito che c’era l’esigenza in te di cambiare? Perché questo cambiamento?
Femminile lo sono sempre stata. Il passaggio dall’essere visibilmente queer è stato più nell’estetica. Interiormente non ho sentito nessun tipo di cambiamento. Infatti, da questo punto di vista, mi percepisco più androgina.
A che età sei diventata esteticamente più femminile ?
Circa dieci anni fa, non tantissimo. Anche perché quando ho preso contatto con queste definizioni – binario, non binario, ecc. – mi si è aperto un mondo. Prima c’era sempre questa netta differenza tra un omosessuale maschile e un omosessuale femminile, e io non mi riconoscevo né in una cosa né in un’altra.
È stato difficile? Come l’hanno presa le persone che ti stanno vicino e che ti hanno conosciuto fin da bambino?
In realtà no, loro lo sapevano già. I miei genitori sanno del mio orientamento sessuale, ma di questa parte non gliene ho mai parlato, visto che non ho mai avuto la necessità di essere femminile anche del punto di vista fisico e di intraprendere un percorso.
Ti sei mai sentita DIVERSA dagli altri?
Si, rientravo in una categoria di un ragazzo gay molto effemminato.
Quando sei in giro ti senti osservata?
Lo sono.
Secondo te per quale motivo ti osservano? Percepisci sguardi differenti?
Per diversi motivi. Percepisco degli sguardi più erotici e degli sguardi più di complicità, come per dire “Brava continua così”. La maggior parte degli sguardi che percepisco negativi, dicono “Ma guarda questa come si è conciata,”, e dunque, visto che sei tu la strana si sentono autorizzati a guardare. Ormai ci ho fatto il callo.
Hai mai dovuto rinunciare a qualcosa per colpa di prese in giro verso il tuo essere?
Si, alle elementari. Avevo circa dieci anni e ho rinunciato alla danza moderna. A me piaceva molto ballare, facevo i balletti in classe, ma ho smesso dopo un anno, perché tutti gli altri bambini mi dicevano che la danza era un sport da femmine; me lo facevano pesare. Poi, mi domandavano sempre se fossi maschio o femmina.
Con la consapevolezza di ora, cosa diresti a te stesso bambino?
Sicuramente la prima cosa che farei sarebbe ballare con lui. Gli direi di non permettere che nessuno ti dica che cosa devi fare. Dovrei pensare alle parole giuste per motivarlo, però cercherei in tutti i modi di dirgli “qualunque cosa tu voglia fare, fallo”.
Ti è mai capitato di trovarti in situazioni scomode o che ti abbiano fatto domande impertinenti?
Tempo fa, un uomo mi ha detto che le persone come me tendono essere sessualmente ed eroticamente curiose, e che conosce trans che non farebbero mai il passaggio completamente perché non avrebbero clienti… in questo caso l’ho trovato impertinente e offensivo nei termini in cui, secondo lui trans si lega necessariamente al mondo della prostituzione.
Invece, un’altra cosa che non capisco, è che spesso le persone, quando si rapportano a me hanno la necessità di dirmi che hanno amici così e che lo accettano. Questa cosa tende un po’ a lasciarmi basito. Non riesco a capire la necessità del dirmelo.
Ma secondo te sono sinceri quando lo dicono?
Ci sono più fattori. Da una parte c’è la stima di percepirmi coraggiosa, apprezzano il fatto che io mostri quello che sono. Dall’altra parte, però, non vogliono sentirsi esclusi da questa macchina sociale che si è avviata, perché sennò sarebbero inevitabilmente dei razzisti. Loro non lo sanno, ma il fatto di dire così, secondo me, è perché devono ancora capire delle cose su se stessi e perciò lo riversano su di me.
Che influenza ha il tuo essere queer con la vita professionale e il tuo lavoro? Hai mai avuto difficoltà a trovare lavoro per questo motivo?
Sinceramente no, perché ho sempre lavorato in ambiti in cui non è particolarmente sentito un certo tipo di cultura machista. Insegno storia dell’arte e discipline artistiche e a scuola non vado marcatamente vestita da donna, ma per una questione logistica (mettermi i tacchi tutti i giorni, truccarmi, ecc.), tengo però degli elementi, come lo smalto, che ormai è stato sdoganato, e accessori, come bracciali.
Lavorando in un ambiente come quello della scuola, ti senti più compreso dai giovani rispetto che da persone della tua età?
Mi sento molto più compresa dalle nuove generazioni. Con i ragazzi giovani, dai 15 ai 21, non percepisco alcun tipo di disagio, né sono mai guardata come quella “strana”. Anche rispetto alla domanda di prima sugli sguardi, l’occhio di un ventenne non cade su di me. Assolutamente.
Attualmente sei una relazione?
No. Ho avuto solo una relazione di dodici anni con un uomo.
Era anche lui queer oppure omosessuale? Te lo chiedo perché c’è sempre un po’ di ignoranza e confusione… Ci sembra scontato che un uomo biologico, ma con caratteristiche più femminili, come te, sia attratto dal genere maschile, ma immagino non sia sempre così…
Nella maggior parte dei casi il femminile è attratto dal maschile, ma dipende da ognuno. Non mi è mai capitato che una donna mi mandasse dei segnali palesi, tanto quanto potrebbe fare un uomo. Il mio ragazzo si definiva gay, gli piacevano i ragazzi gay da un punto di vista di orientamento, ma tempo fa era diverso. Venticinque anni fa non c’era ancora un certo tipo di terminologia.
È difficile trovare partner sessuali per le persone transgender/queer? Non so perché c’è sempre questa concezione che non sia semplice, come invece può esserlo per una persona etero…
No, secondo me è difficile tanto quanto un eterosessuale che ha determinate criticità interiori, ma che trascendono l’orientamento. Da un punto di vista di conoscenza – il classico marpionamento da locale – non ho difficoltà. La difficoltà ci sarebbe se un eterosessuale si dovesse esporre, perché spesso il loro problema è essere appellati in modo offensivo e denigratorio dagli amici.
Ti infastidisce questa cosa?
No, li comprendo, assolutamente, perché ognuno ha i propri conflitti.
Quindi ci sono anche persone che si definiscono etero, ma sono attratte da altre persone biologicamente dello stesso sesso, ma con aspetto esteriore opposto?
Si, c’è chi si trova in perfetta armonia, per esempio, nel sentirsi maschio, ma ha un’attrazione verso il femminile. È attratto dall’organo maschile, ma su una figura più femminile. C’è poca conoscenza, perché nella maggior parte dei casi si parla sempre di difficoltà sociali, ma non si chiede mai come queste persone vivono la cosa.
Cosa ne pensi dell’adozione in una coppia trans?
A istinto ti direi che non c’è alcun tipo di problema.
Tu hai mai pensato di adottare?
No, ma perché non ho un desiderio genitoriale a prescindere dalla mia identità.
Noi genz diciamo di essere inclusivi, ma in realtà non siamo a conoscenza di molte cose relative a questo ambito… Queste tematiche non vengono quasi mai affrontate in Italia, per esempio in ambienti scolastici. Secondo te ci vuole una rivoluzione sociale? Tu cosa faresti in termini di iniziative per aumentarne la conoscenza?
Io ai miei studenti spesso fornisco delle chicche declinate in termini di costume e relative all’arte. Anche perché quello che noi viviamo oggi e che oggi definiamo binario, non binario, queer, ecc, è esistito in varie culture africane o asiatiche ancor prima del colonialismo. È arrivata, poi, una occidentalizzazione, che con la sua prepotenza e la sua cultura, ha spazzato via certe realtà identitarie, che ci sono sempre state.
“Non sono una donna ed esprimo la mia femminilità.”
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Credits:
Fotografie di Daniele De Giorgio
Styling di Martina Gallazzi