L’industria della moda è interconnessa con il sistema politico globale: i risultati delle elezioni presidenziali americane porteranno a scelte strategiche importanti. Dipenderà da Trump o da Harris?
In America -da mesi- si accavallano manifestazioni, dibattiti di Trump e Harris. Presentazioni e prese di posizione più o meno velate. Non fa eccezione alcuna il fashion system americano (e non).
Il mondo della moda è difficile si esponga in prima persona durante le campagne elettorali, o, più in generale nel mondo politico. Sono due universi separati, eppure, legati indissolubilmente. Per quanto ci piaccia pensare che così non sia, c’è un dato oggettivo: l’industria di moda dipende dalle scelte politiche.
Fashion for our future
Durante questi mesi di campagne pre elezioni, ci sono stati molti schieramenti piuttosto chiari e definiti, senza alcuna inequivocabile seconda intenzione se non quella di sostenere apertamente questo o quel candidato. È il caso della sequela di vip, attori e cantanti (e non solo), che si sono schierati platealmente con Kamala Harris. L’ultimo esempio può essere il sentito monologo di Jennifer Lopez, a Las Vegas, in difesa dei portoricani. Sul palco -oltre alla Harris- anche Ricky Martin e Bad Bunny. Una lista infinita, in ogni modo, di star si propone ad indicare chiaramente dove mettere la croce all’interno della cabina elettorale.
Il mondo fashion -contrariamente a quanto si pensi- o fa le cose in grande, ed è da ricordare la marcia organizzata da Vogue, all’inizio della fashion week newyorkese con Anna Wintour, Tom Browne e Tory Burch schierati in prima fila. Oppure fa con discrezione, sussurrando le proprie preferenze, mantenendosi al margine e spingendo al voto corretto senza mai scandire apertamente il nome (di Harris in questo caso).
Sicuramente è eccezione anche Willy Chavarria che nel discorso conclusivo, mentre riceveva la statuetta d’argento degli CFDA, ha collegato i diritti delle donne e della comunità queer a quelli degli immigrati. Un discorso semplice, schietto e sincero.
Oltremanica vediamo invece un LVMH che, diplomaticamente, mantiene i rapporti con entrambe le fazioni. Questo perché? Perché l’approccio del gruppo Arnauld non ci sembra così sbagliato? È in realtà più semplice di quello che si pensi.
Relazioni commerciali internazionali e impatto sulle catene di fornitura
Nel guardare la situazione con uno spirito critico, di chi vuole -più che giustamente- badare ai propri interessi (come si dice dalle mie parti), è logico non doversi sbilanciare a favore dell’uno o dell’altra. L’industria della moda è strettamente, a doppio giro, legata a quella politica ed economica. In un momento in cui tutto conta, conta anche la posizione della moda globale.
A voler parlare di numeri, il primo impatto, potrebbe essere la differenza di costi di esportazione, che, una politica di Harris otterrebbe contro quella di Trump. Nel primo caso ci si troverebbe di fronte a un favore verso l’export di beni di lusso, moda, alimentari e vini.
Settori di punta del made in Italy, ad esempio. Harris potrebbe sostenere politiche fiscali favorevoli e incentivare innovazione e sostenibilità, aprendo opportunità per aziende eco-friendly. Il rovescio della medaglia è la possibilità che la stessa Harris, decida di distaccarsi dalle politiche di Biden, ritenute inefficaci.
Per quel che riguarda Trump, America First, si aumenterebbero dazi e barriere per proteggere l’industria nazionale, rendendo più costosa l’esportazione. Ciò favorirebbe di certo l’importazione, ma, si sa che l’America non ha capacità di produrre volumi significativi in materia di accessori, calzature e abbigliamento.
Le conseguenze
Per quanto riguarda l’atteggiamento dell’uno e dell’altro nei confronti della tassazione, anche lì, tanta postura negoziale o da campagna elettorale, perché Harris dice che porterà la tassazione delle società al 28% mentre Trump dice taglio al 15%. Quella che sarà la verità la si scoprirà solo nelle prossime ore -o giorni- ma, nel frattempo, ci sono già degli impatti significativi da prendere in considerazione. Sono interessanti le dichiarazioni del CEO di Columbia Sportswear, che dichiara: “ci occuperemo di ciò e aumenteremo i prezzi”. La soluzione più semplice, a portata di mano. Peccato però che i consumatori americani stanno già respingendo l’ultimo ciclo di aumenti. Probabilmente la salvezza potrebbe essere un’estensione ai tagli, pontificati, da Trump. Di fatto già approvati nel suo primo mandato, quindi, perché non replicare? Certamente, se dovessero essere approvati, ciò implicherebbe un sostegno dell’opposizione.
Cosa accadrà?
What if? La domanda presente in molte situazioni, tanti se la pongono e nonostante le molte e più analisi che possano essere fatte, di certe -per ora- non ce ne sono. Nemmeno una. D’altronde i giochi politici non danno mai certezze, non fino all’ultimo.
Le visioni differenti sul futuro dell’America avranno, indubbiamente, un impatto anche sull’industria della moda. L’evidenza di correnti di pensieri, e, contrapposizioni è evidente anche in questo: Harris è favorita da artisti emergenti, lei stessa dà spazio a brand e stilisti indipendenti. Il team di Trump, invece, ha una predilizione per le grandi case di moda affermate e i marchi europei. Uno scontro -perlomeno nel settore moda- quasi ad armi pari, pone in condizioni di favoritismi una situazione, che, ancora rimane ignota.
E per finire
C’è incertezza e un sacco di domande inespresse. Stanotte si inizieranno a scoprire le carte in tavola, e allora, probabilmente, vedremo quali delle teorie e/o paure si sono verificate. Quello che accadrà, come si bilanceranno gli equilibri nell’industria della moda (e non solo) lo scopriremo nel prossimo futuro.
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