Perchè le cose piccole e carine ci piacciono così tanto

da | LIFESTYLE

Che sia un bambino, un micino o un cucciolo di qualsiasi animale rassomigliante un pupazzo. Le cose piccole e carine ci fanno sentire felici e ci piacciono tantissimo, ma come mai?

Sono sicura che come a me, e altre milioni di persone, anche a voi piacciono le cose piccole e carine. Entrate in un negozio dove vendono minuscoli pelosi porta chiavi, passa un cucciolo di qualsiasi animale dalle minuscole dimensioni. So quali sono le vostre reazioni e so quanto la vostra serotonina riesca a salire. Gli occhi si spalancano, la bocca si apre e un suono, o meglio, un ultrasuono viene emesso. “Ma quanto è carino?!”.

Ma perchè ci piacciono così tante le cose piccole e carine?

Se noi dovessimo vederla da un cinico punto di vista evolutivo, si dice che alla base di quell’effetto “carino” che le cose piccole ci fanno, si cela l’adattamento evolutivo sviluppato dai bambini per non essere abbandonati da piccoli in quanto inutili. Si chiama Kindchenschema, una “formula di carineria” dei cuccioli, umani e non, descritta dall’etologo Konrad Lorenz nel 1943. Secondo Lorenz la testa e gli occhi grandi, la bocca e il naso piccolini, l’estremità corte e i corpi rotondi rendono adorabili ai nostri occhi determinati esserini.

Esempio del Kindchenschema di Konrad Lorenz

Potrei addirittura andare ancora più indietro nel tempo per darvi delle spiegazioni, fino agli inizi della storia del Giappone. Il paese asiatico ha sempre avuto un posto speciale per le cose piccole e carine. Un esempio sono le statuine di ceramica di piccoli animali, o gli oggetti delicati dalle forme semplici presenti nell’arte giapponese.

L’amore per le cose carine parte nel periodo Edo. In quel momento in cui i kimoni vengono adornarti con fermagli e i samurai foderano nei loro vestiti piccoli amuleti.

Figuratevi che i giapponesi hanno perfino una parola per indicare la sensazione che proviamo di fronte ad oggetti piccoli e carini: Kawaii. Il termine all’inizio viene usato per parlare di pietà ed empatia. Con il passare dei secoli la parola inizia ad essere usata per descrivere il senso di attrazione e compassione che proviamo per bambini indifesi o cuccioli.

Nel 1970, con l’avvento della penna sfera, in Giappone le studentesse cambiano stile di scrittura. Iniziano ad utilizzare caratteri stondati e decorati da piccoli cuoricini, stelle e faccine. Da cosa nasce cosa e questa ondata di cuteness subentra anche nel linguaggio colloquiale portando a uno slang molto simile al modo di parlare di un bambino.

La primissima icona kawaii più contemporanea è stata, ed è tuttora, Hello Kitty.

Un giornalista americano, Neil Steinberg, in un suo reportage per una rivista scientifica, ha cercato di mettere insieme tutto quello che sappiamo sulle cose piccole e carine e sul perchè ci piacciono così tanto. Per farlo Steinberg utilizza una storia di una mascotte a forma di orso, diventata decisamente popolare sempre in Giappone.

L’orsetto si chiama Kumamon, è un orso nero con le guance rosse ed è la mascotte della prefettura di Kumamoto, nel sud del paese. E’ cosa comune in tutto il Giappone avere uno “yuru-chara” ossia un personaggio dall’aspetto adorabile e tenero, che serva a promuovere la propria immagine e attrarre così turisti e clienti. Come Hello Kitty, Kumamon non parla, ma ha una personalità ben precisa: è “molto birichino”.

Lo scopo dell’orso è quello di pubblicizzare l’ampliamento della rete ferroviaria ad alta velocità Shinkasen fino alla sua prefettura, Kumamoto. Oggi Kumamon però non è più solo un simbolo o una strategia commerciale, l’orso è considerato quasi come una creatura vivente, una specie di stravagante divinità domestica dalla forma di orso.

Figuratevi che nel 2016, quando un terremoto di magnitudo 2,6 colpì l’isola in cui si trova la prefettura di Kumamoto, moltissime persone scrissero a Kumamon per sapere se stesse bene.

Kumamon

Per fortuna l’orso e i suoi amici erano salvi.

Torniamo alla ricerca fatta da Lorenz su come i bambini con il loro aspetto carino e coccoloso fanno in modo che non vengano abbandonati. Pare anche che grazie ai propri attributi piccoli e carini, aldilà dell’affetto per queste dolci creature, sentiamo anche l’impulso di prendercene cura. Partendo da questo, qualche anno fa sono stati fatti degli studi sperimentali su come le cose kawaii vengono percepite.

Secondo una ricerca giapponese del 2012, vedere facce simili a quelle dei bambini aumenta la concentrazione, proprio come quando ci troviamo a doverci occupare di un bambino.

Alcuni esperimenti dimostrano come mostrando delle immagini di cose piccole e carine ad alcune persone, queste immagini stimolino la parte del cervello legata alle sensazioni di piacere, lo tesso che rilascia la dopamina: il nucleus accumbens.

Altri due studi di Yale, invece, spiegano che quando diciamo che “vorremmo mangiarcelo da quanto è carino” lo diciamo perchè proviamo forti emozioni alla vista di piccole creature. Usare il verbo “mangiare” è un segno di un inconscia aggressività verso le piccole creature e che deriva dall’idea frustrante di non essere in grado di prendersene cura nel modo giusto. Non sentendoci all’altezza della cura, proviamo contemporaneamente rabbia e preoccupazione nei confronti del piccolo.

Un’altra dimostrazione dell’effetto descritto da Lorenz, ce lo da’ un esperimento condotto nell’Università del Michigan nel 2012. A un gruppo di persone americane e sudcoreane viene chiesto di disegnare un rettangolo carino. Buona parte disegna rettangoli piccoli, tondeggianti e colorati con colori chiari. Altri test nello stesso studio mostrano che i sudcoreani hanno un’opinione più alta delle cose carine, in quanto aventi un diverso atteggiamento nei confronti di ciò che è piccolo nella cultura dei paesi dell’est asiatico.

Corea, Cina e Giappone hanno culture meno legate all’individuo e che danno invece valore a ogni membro della società, compresi i bambini e i deboli. Al contrario, negli Stati Uniti, la debolezza e l’infantilismo sono giudicati negativamente.

Secondo alcune altre ricerche, il fascino delle cose carine e piccole è più forte sulle donne, che sugli uomini. Ritornando al concetto di cura del bambino, è semplice rendersi conto che questa spesso è prevalentemente affidata alla madre, per cui biologicamente parlando capiamo il tutto. Alcuni però si chiedono, se questa cultura delle cose carine, specialmente in Giappone, è un elemento di una società sessista che vuole che le donne si comportino e vengano trattate come fragili. O meglio, come bambine.

Steinberg, comunque, ha scoperto che non a tutte le donne giapponesi piacciono gli oggetti kawaii. E’ decisamente una minoranza, molto sensibile alle idee del femminismo.

C’è anche chi dà “contro” alla cultura del carino. Hiroto Murasawa, studioso, spiega come la moda delle cose carine favorisca la tendenza a non affermarsi come adulti e indipendenti.

Facendo riferimento alle miniature, il nostro amore per le cose piccole smebra essere anche legato al fatto che queste rispondono al nostro desiderio di conoscenza. La possibilità di avere un qualcosa che possiamo muovere come vogliamo, ci dà anche una sensazione di controllo. Una sensazione che nel mondo caotico in cui viviamo è difficile sentire.

Comunque negli ultimi tempi si è spiegato che non troviamo belle le cose piccole e carine solo perchè ce ne vogliamo prendere cura, ma è legato a un più generale sentimento positivo che influisce su come interagiamo socialmente con le altre persone.

Anche il rilascio di Ossitocina, l’ormone dell’amore, influisce nelle nostre sensazioni verso le cose piccole e carine.

Piccole e carine

Non è solo per via della teoria dei bambini di cui prendersi cura, ma quando il corpo rilascia ossitocina ci fa sentire innamorati dell’oggetto che ci attrae. Anche la dopamina, come già detto, si lega a queste sensazioni. Quindi ogni volta che vediamo qualcosa di piccolo che troviamo carino e coccoloso, il nostro cervello rilascia dopamina e ci fa sentire felici.

Insomma, perchè le cose piccole e carine ci piacciono così tanto? Perchè ci rendono felici.

Le cose piccole e carine sono la ricetta alla nostra felicità, che viene naturale proprio dal nostro corpo grazie ai nostri ormoni che non riescono a rimanere impassibili, nemmeno loro.