Le associazioni negative del consumatore occidentale in relazione al made in Corea, hanno origini storiche, economiche e culturali. I prodotti orientali sono spesso percepiti come di scarsa qualità, corrotti da pregiudizi che è difficile sradicare.
Il Miracolo del fiume Han
C’era una volta un regno diviso e devastato da una guerra fratricida. Le ferite del conflitto erano profonde, e il paese giaceva in rovina. Ma da queste ceneri, un miracolo avrebbe trasformato il destino della nazione.
Si racconta che lungo le sponde del fiume Han, che attraversava il cuore della capitale Seoul, esistesse una profezia antica, che raccontasse di un giorno, in cui dalle acque del fiume, sarebbe emersa una forza che avrebbe portato prosperità e grandezza al popolo coreano. Questa forza non era di natura spirituale: era la determinazione e la volontà del popolo stesso.

Negli anni ’60, Park Chung-hee, divenne presidente della Corea. Egli comprese che il futuro del paese sarebbe dipeso dalla sua capacità di trasformarsi e modernizzarsi. Park organizzò un piano audace basato su tre pilastri: industrializzazione, educazione e lavoro instancabile.
Chiamò in raccolta i migliori artigiani, ingegneri e lavoratori. Iniziò a costruire fabbriche, strade e porti, e incoraggiò la creazione di grandi corporazioni, che avrebbero portato il nome della Corea nel mondo. Queste corporazioni, chiamate chaebol, erano Hyundai, Samsung e LG, che iniziarono a produrre tutto, dai tessuti agli elettrodomestici, dalle auto alle navi.
Mentre il paese cresceva, il fiume Han, simbolo della profezia, divenne un testimone silenzioso del cambiamento. Le sue rive, una volta desolate, si trasformarono in aree urbane vibranti, e Seoul divenne una metropoli globale, simbolo della nuova Corea.
Ma negli anni ’70 e ’80, molti paesi orientali cominciarono a produrre beni di consumo a basso costo per i mercati occidentali, alimentando pregiudizi negativi nelle menti dei consumatori, che ancora oggi è difficile sradicare.
Scandali e Stereotipi: La visione Occidentale
Dagli ultimi decenni, il mercato globale è saturo di prodotti “Made in Oriente”, con una presenza dominante di beni provenienti da Cina, Corea del Sud, e Giappone. Nonostante l’alta qualità e l’innovazione che molti di questi prodotti offrono, persiste tra molti occidentali l’associazione alla scarsa qualità.
Negli anni ’70 e ’80, i paesi asiatici iniziarono a emergere come importanti produttori di beni contraffatti e copie a basso costo. Seppur tentavano di imitare il mercato occidentale, non riuscivano a mantenere gli stessi standard. Primariamente poiché l’industria manifatturiera orientale era ancora in fase di sviluppo, e cercava di competere principalmente sul prezzo. La Cina, in particolare, è stata a lungo accusata di essere la fonte principale di prodotti falsificati. Questi, spesso realizzati senza rispettare il grado di sicurezza e qualità, hanno danneggiato la reputazione complessiva dei beni “Made in China”. Di conseguenza, anche i prodotti autentici provenienti dall’Oriente ne hanno sofferto.
Inizialmente, molti di questi articoli erano destinati a mercati in cerca di alternative economiche, ma non rispecchiando gli standard occidentali erano spesso considerati inferiori rispetto ai prodotti locali o europei.
Con l’avanzare della globalizzazione, la produzione di massa si è trasferita sempre più verso paesi con costi di manodopera inferiori. Questa transizione ha portato ad un aumento della produzione orientale, ma anche ad un’accresciuta visibilità dei problemi legati alla qualità.
I media occidentali hanno giocato un ruolo significativo nel perpetuare i pregiudizi. Racconti di problemi di sicurezza, ritiri di merci e scandali legati alla qualità hanno spesso dominato il web. Per non parlare poi degli stereotipi culturali, che hanno amplificato una visione semplicistica e spesso ingiusta delle capacità produttive orientali.
Yepoda: via Palermo 21, Corso Garibaldi
Nonostante i pregiudizi persistenti, la realtà del mercato globale orientale è molto diversa. Marchi giapponesi come Sony e Toyota, e i coreani Samsung e Hyundai, sono sinonimi di eccellenza. Anche la Cina, con Huawei e Xiaomi, sta rapidamente guadagnando terreno in termini di qualità e innovazione.
È innegabile perciò, il graduale cambiamento delle percezioni. Con l’evoluzione continua delle capacità produttive, i pregiudizi stanno lentamente affievolendosi. L’interconnessione globale ha permesso ai consumatori di accedere a informazioni più accurate, aumentando così la consapevolezza e permettendo loro di fare scelte più informate.
È stato difficile scrollarsi di dosso l’occhio malevolo del consumatore occidentale ma Yepoda ce l’ha fatta. Nel 2020, Annabelle Mandeng e Elisabeth Mandeng portano il brand di K-beauty a Milano.


Yepoda nasce nel cuore pulsante di Seoul, dalla visione di due amiche, entrambe affascinate dalle tradizioni della skincare coreana, e con un occhio rivolto all’innovazione. Il loro obbiettivo era uscire fuori dagli schemi, sfidando i pregiudizi occidentali e affermandosi nei mercati più esigenti del mondo.
Portano così la tradizione coreana in una città rinomata per il suo amore per la moda e la bellezza. Corso Garibaldi, sembrava il luogo perfetto, ma era necessario convincere gli italiani della qualità e dell’efficacia dei loro prodotti. Workshop, seminari, collaborazioni e testimonianze positive aiutarono a dissipare i pregiudizi e costruire una solida reputazione di qualità e affidabilità.
Foto: wikipedia, yepoda.