I giovani preferiscono il tempo libero al lavoro. Troppa pressione sociale non permette di affrontare un colloquio di lavoro in serenità.
“Da grande voglio fare lo scienziato”, “Sarò una grande la ballerina e danzerò sui palchi più importanti” , “Desidero fare il pilota di formula uno”, “Diventerò una parrucchiera”.
Quando eravamo piccoli era facile dire chi saremo voluti essere da grandi e che lavoro avremo voluto fare in futuro. Un mestiere, preciso e ben definito, senza particolari dubbi o incertezze.
Oggi siamo diventati grandi e, nonostante tutti gli studi fatti, le scuole frequentate, i corsi svolti e le esperienze di vita affrontate, non sappiamo dire con esattezza il maestre che ci piacerebbe fare. Qualcuno ha capito l’ambito di cui vorrebbe far parte, ma ancora non tutti. A questo proposito, ci viene sempre detto “È già un buon punto sapere cosa NON volete fare”.
Questo perché, da piccoli, per noi, il mondo era o bianco o nero; non vedevamo ancora tutte le sfumature che, invece, conosciamo oggi. Eravamo a conoscenza delle professioni più comuni e di quelle più famose, mentre, tutti i ruoli complementari non ci venivano raccontati. Semplicemente perché non avremo potuto capirli e ci bastava sapere solo quelli.
Una generazione che pretende di seminare poco e raccogliere tanto
In realtà, le nuove generazioni non danno tanta importanza al lavoro. Al contrario di tutte le generazioni precedenti, che vivevano per lavorare, la GenZ non ha il grande sogno professionale; spera in un futuro lavorativo non troppo impegnativo, ma che, allo stesso tempo, gli fornisca buone entrate. Sono pochi quelli che sognano una carriera professionale e sono molti quelli che si accontentano di ciò che trovano, senza cercare altro che potrebbero preferire.
Esiste anche un trend su Tiktok, che dimostra come i ragazzi aspettino che sia il lavoro a bussare alla loro porta, mentre loro stanno ad aspettarlo. Video di ragazzi nullafacenti ripresi in vacanza o al ristorante, con, in sottofondo, la voce di un signore che dice «Qual è il mio lavoro dei sogni? Tesoro, te l’ho detto varie volte, non ho un lavoro dei sogni: non sogno il lavoro».
Il post pandemia ha fatto si che si apprezzasse di più il tempo libero, e per questo i giovani hanno meno aspirazioni: preferiscono vivere la loro vita, divertirsi e impegnarsi nei loro hobby.
A seguito di ciò, molte aziende stanno incrementano il welfare aziendale, ossia i benefit legati al benessere. Cercano di agevolare orari flessibili, giornate di smart working e offrono spazi di svago, come palestre e piscine, anche all’interno del luogo di lavoro.
Il sondaggio di Intelligent e la prima impressione ad un colloquio
A gennaio, la rivista inglese Intelligent ha messo in atto un sondaggio da cui emerge che, i nati tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000 faticano a trovare lavoro a causa dei loro atteggiamenti e della loro svogliatezza.
Nell’indagine sono stati coinvolti 800 manager e dirigenti, i quali hanno espresso la loro preferenza nell’assunzione di figure più mature in termini d’età, rispetto a giovani con poca esperienza, questo a causa della negativa prima impressione che, questi ultimi, danno durante i colloqui di lavoro.
La prima impressione è tutto. Il saluto, la stretta di mano e l’outfit sono gli elementi primari che determineranno l’andamento generale di tutto il colloquio. Tutte le domande verteranno sulla percezione di questi tre fattori, da parte del reclutatore.
Una prima nota negativa è arrivare tardi al colloquio. In un recruiter, questo comportamento si traduce immediatamente in “poca responsabilità e rispetto verso gli altri”. Infatti, due terzi dei datori di lavoro hanno sottolineato come i neolaureati di questa generazione siano incapaci di gestire i compiti loro assegnati, arrivino in ritardo in ufficio e spesso non rispettino le scadenze.
Inoltre, secondo la statistica di Intelligent, il 58% dei dirigenti ritiene che i giovani si offendano troppo facilmente, non accettino le critiche e siano impreparati ai ritmi della vita lavorativa. In più, non sarebbero in grado di comunicare efficacemente con superiori e colleghi, mancando spesso di professionalità.
Spirito di sacrificio
In quanto facente parte di questa generazione, io concordo con la maggior parte di queste affermazioni – ovviamente è un discorso che vale per la maggioranza, non per tutti -. Riconosco che ci siano molti ragazzi che ancora, nonostante abbiano oltre vent’anni, non siano preparati ad affrontare un ambiente lavorativo. Siamo abituati a dare la colpa ai social e alla tecnologia, grazie ai quali abbiamo sempre tutto a disposizione e non dobbiamo sforzarci per ottenere nulla, ma siamo comunque figli di altre generazioni.
Generazioni che ci hanno cresciuto abituandoci ad avere tutto, ci hanno protetto fin troppo, non ci hanno fatto sudare per ottenere le cose e, per questo, non abbiamo lo spirito di sacrifico. Anche l’ansia è un fattore scaturito dalla società in cui viviamo, che ci sottopone alla pressione di fare sempre meglio e sempre di più, perché ciò che facciamo non basta mai.
Un altro fattore negativo è che, in seguito all’emergenza sanitaria, molti colloqui si sono spostati sulle piattaforme online, per permettere alle aziende di risparmiare tempo. Ma, così facendo, è stata annullata ogni possibilità di interagire e di creare empatia tra l’interlocutore e l’esaminato. Quest’ultimo potrebbe non riuscire ad esprimersi al meglio, o, al contrario, essendo nella sua comfort zone, essere agevolato, e per questo il colloquio potrebbe non risultare veritiero.
In conclusione, è necessario ribadire l’impegno di entrambe le generazioni. La prima, che sproni e accolga i giovani a braccia aperte, la seconda che, invece di accontentarsi del primo lavoro disponibile, si mobiliti per ricercarne uno che soddisfi i propri interessi, così da essere coinvolto.
Perché come dice Confucio: “Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”.
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