Au petit Bonheur: spazio alla sostenibilità

da | SUSTAINABILITY

Apre in corso di Porta Ticinese una nuovo spazio milanese aperto alla sostenibilità. Au petit Bonheur inaugurato da un talk in sinergia con la cooperativa sociale Liberi Tutti.

Nell’innovativo spazio di Base Milano, in porta Genova, si è tenuto “Fashion4All: Moda, Sostenibilità e Impresa sociale”. Uno stimolante talk, introduttivo all’apertura del negozio Au petit Bonheur che ha trattato il tema della sostenibilità a 360°. Lasciando perdere inutile retorica e chissà quali speculazioni il talk ha proposto riflessioni sui vari aspetti della sostenibilità, ma soprattutto “soluzioni” concrete.

Ma cosa significa sostenibilità?

Troppo difficile definire un termine così ampio e spesso ridotto al tema ambientale. Essere sostenibili significa, non solo, rispettare l’ambiente, ma anche lavorare all’impatto sociale di quello che si fa, capirne il senso e il riscontro nel mondo. A fare ciò, per esempio, è la cooperativa sociale Liberi Tutti, che ha collaborato alla riuscita del progetto. Attraverso la moda, intesa come attività artigianale, la cooperativa, presieduta da Daniele Caccherano, ha portato avanti progetti di inclusione sociale. Realizzando delle piccole linee di accessori e un negozio a Torino. Un negozio che è più un circolo, un punto d’incontro. Cosa c’è di sostenibile in tutto questo? La scelta di aprire un negozio “lento” in un mondo che predilige la velocità degli e-commerce e che sta spopolando le nostre città di punti vendita.

Non è sempre facile per le cooperative come Liberi Tutti portare avanti i loro progetti. Spesso mancano i fondi o il supporto e molti progetti, anche validi, rimangono sul piano del pensiero. Una realtà utile, in questo senso, è CGM Consorzio Nazionale. Una rete di cooperative sociali, circa 500 sul territorio italiano che aiuta le varie realtà a dar vita alle proprie idee. Partecipa al talk la direttrice Anna Voltolini che dichiara molto intelligentemente: “Fortunatamente oggi il tema della sostenibilità è main stream”. Molto spesso sui tende a sottovalutare un argomento quando diventa troppo “pop”. La verità è che l’unico modo per muovere passi in questo verso è parlare, conoscere, informarsi per capire il problema e cercare delle vere soluzioni.

Vere soluzioni di cui si occupano realtà come Slow Fiber. Realtà fondata da Dario Casalini, costola di Slow Food. Il fondatore ha fatto notare come tutti ci preoccupiamo del cibo che mangiamo. Da dove viene, chi la prodotto, come è stato cucinato, ma nessuno si fa le stesse domande sull’abbigliamento. Toccando non solo il tema dell’impatto ambientale di quello che indossiamo. Stupisce che nessuno si interessi di chi ci sia dietro questi capi. Nessuno pensa a chi li tinge, li taglia, li cuce che vive spesso in condizioni di lavoro precarie al limite, se non oltre la schiavitù. Conviene con lui il presidente di Federsolidarietà: Stefano Granata che pone sul tavolo il tema della retribuzione. Accendendo un faro sul fatto che i salari nel tessile siano bassissimi.

Sostenibilità quindi come sostenibilità sociale, capacità di fare impresa in maniera etica responsabile ed inclusiva. Quello dell’incisività è un tema che hanno particolarmente a cuore due ragazzi conosciuti al Talk. Vittorio Jan Randone, co fondatore del brand FairEnough che realizza t-shirt in collaborazione con i carceri per promuovere il reinserimento nella società e Hindh Lafram. Designer dell’omonimo brand che produce abiti pensati per le donne musulmane occidentalizzate in collaborazione con le sartorie sociali.

Abbiamo dato una definizione alla parola sostenibilità: chi può dirlo! Forse no, o forse sì. Al di la delle definizione preme comprendere che vivere in maniera sostenibile è l’unico modo per continuare a vivere davvero e non, semplicemente, a sopravvivere in una società che rischia di collegare ben presto su se stessa.