Sembrava un mercato sempre in espansione mentre oggi pare essersi fermato. Il concetto di “influencer” attraversa la storia ed ha origine ben prima dell’arrivo dei social media. Ma cosa sta succedendo oggi?
Il caso Ferragni, e non solo quello, comincia a far vacillare il mondo degli influencer. Un mercato, da sempre, poco chiaro. Tanto osannato quanto discusso. La mancanza di regole precise, dovuta alla giovinezza della realtà stessa, ha fatto si che non venisse capito proprio da tutti. Di fatto il concetto di “influencer” non è una cosa ne nuova ne legata all’avvento dei social media. Fin da quando esiste la moda esistono personalità che la veicolano e la indirizzano. Tutto sta nell’importanza che viene data a questi personaggi che, forse, negli ultimi tempi era un po’ troppo. Prima però facciamo qualche passo indietro.
Un po’ di storia
Il sociologo Veblen teorizza il trickle down. Il paradigma secondo cui la moda si sviluppi per “sgocciolamento” verso il basso. Le tendenze nascono “dall’alto” simboleggiato dalle classi più abbienti per arrivare “al basso” ovvero la massa. Si tratta di uno sviluppo un po’ antico che poi infatti è stato aggiornato con nuovi movimenti come il trikle up e il trikle across. Sta di fatto che, in qualunque caso, si presuppone la presenza di qualcuno che diffonda la moda. E’ in questo qualcuno che si può identificare la figura dell’influencer.
I primi influencer arrivano direttamente dalle corti rinascimentali. Caterina De Medici, la fiorentina regina consorte del Re di Francia Enrico II, fu tra le prime a dirigere il gusto comune. Il suo stile prevedeva tacchi alti, corsetteria e profumi. Tutte regole che dovevano rigorosamente seguire le dame di corte. In Inghilterra faceva scuola la “regina vergine”: Elisabetta I. Il suo look, composto da abiti opulenti in tessuti broccati e velluti operati abbinati ad una cascata di gioielli in perle, così come il suo make up artificioso, erano replicati in maniera assidua dai sudditi.
Tra il seicento e il settecento è la corte di Versailles a sfornare i grandi influencer. Luigi XIV, per la moda maschile, e Maria Antonietta per quella femminile. Il loro stile sfarzoso e roccocò guidò i guardaroba reali di tutta Europa. Pensate che fu proprio Re Sole a dare il via al sistema della moda parigina. Grazie a figure come loro, e a chi si occupava del loro stile (come la mitica “ministra della moda” Rose Bertin), la Francia è diventata, e forse è tutt’ora, il punto luce della moda mondiale.
Il ‘900
Nel ‘900 le cose si fanno sempre più simili al contemporaneo. Non sono più le corti a dettare legge sula moda, ma il jet set. Le attrici e gli attori, divi della nascente industria cinematografica. Da Marlen Dietrich a Marylin Monroe, da Audrey Hepburn a Marlon Brando. E poi ancora le first Lady come Jackie Kennedy o Lady Diana. Non per nulla due delle borse più famose del panorama moda, la Jackie di Gucci e la la Lady Dior, portano i loro nomi. Anche le modelle diventano fari di stile. Prima la dirompente Twiggy e poi, negli anni ’90, la memorabili big six. Cindy Crawford, Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Christy Turlington e Kate Moss. Tutti nomi che, tra parentesi, hanno influenzato il gusto ben più delle moderne influencer.
Con l’avvento dei social le cose sono cambiate. A dettare legge non sono più personaggi di spicco, ma persone comuni apprezzate sui media. Nascono così gli influencer contemporanei. Personaggi che hanno come scopo orientare il gusto comune e, di conseguenza, le vendite. Con il tempo sono diventati un vero e proprio mercato. Il mondo del marketing, soprattutto negli ultimi anni, ha investito moltissimo sugli influencer, ma oggi hanno ancora tutta questa rilevanza?
Il mercato degli influencer
Milioni e milioni di dobloni vengono stanziati per produrre le campagne con gli influencer. Un’azione di questo tipo punta, di fatto, su due fattori: brand awerness e conversion. Gli influencer sono utili a migliorare la reputation di una griffe, posizionandola in un certo target di clientela. D’altro canto il metro di misura di una campagna di influencer marketing è quello della conversione. Ovvero quante vendite ha generato il tal personaggio.
Uno studio di NSS ha evidenziato come Dior sia al primo posto in fatto di egnagment, con 90 milioni di interazioni da Gennaio 2023 a maggio 2024. Pare che tali risultati siano arrivati grazie alle diverse campagne realizzate con personaggi come Rosalia (+539k click da quando è ambassador) o idoli del K-Pop che hanno sfiorato record di click da 50milioni. E quanto a brand awerness e reputation tutto ok. Di contro NSS ha sottolineato come sul sito il traffico sia aumentato solo dello 0,7%. Pare allora che tutta questa aurea attorno al brand non si riesca a trasformare in vendite.
Forse non ci fidiamo più degli influencer o, forse, i prezzi di Dior sono talmente alti che nemmeno Rosalia ci convince a spendere quei soldi. Certo è che nell’ultimo periodo quello degli influencer sia un mercato un po’ incerto. Quanto successo in casa Ferragnez, di cui si è già parlato fin troppo, ha sicuramente pesato sul settore. Si è rotta un po’ la campana di vetro sotto cui ha sempre vissuto questa realtà tanto conosciuta quanto oscura. CI si fida sempre meno dei “consigli” stra pagati degli influencer. Si preferisce seguire personaggi più reali ed onesti. Non è un caso che su Tik Tok un personaggio come l’Influencer onesta, che recensisce prodotti senza accettare gifted o sponsorizzate, faccia milioni di visualizzazioni.
Forte di una mancata regolamentazione il mondo degli influencer è sempre meno attendibile e appetibile per i brand che, per quanto guadagnino reputation, non vedono gran riscontro nelle vendite. Eppure tutto sembra sempre così perfetto, ovattato e maniacalmente preciso. Millantiamo chissà quali strategie dietro ogni loro mossa. Sarà vero o sarà semplicemente una commistione di occasioni e scelte fortuite? “In medio stat virtus” dicevano i latini.
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