Tra sacro e profano: la moda incontra la religione

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Un connubio insolito ma più che mai simbiotico quello tra moda e religione. Il senso dell’essere religioso incontra l’apparire moda in un viaggio che attraversa la storia e le collezioni dei grandi stilisti.

Tendiamo spesso a considerare moda e religione due materie a se stanti, assolutamente distinte l’una dall’altra. La prima frivola e figlia della società dell’apparire, la seconde simbolica e profonda. In verità nel sistema di simboli religiosi il vestire gioca un ruolo fondamentale. Inoltre i meccanismi legati alle due realtà non sono così diversi. Per millenni il “potere spirituale” ha governato il mondo. Tantissimo di ciò che oggi esiste è figlio di un tempo in cui a governare erano Papi, molto spesso più simili a despoti che a guide spirituali. Motivo per cui nemmeno la moda scappa da questo continuo duello tra potere temporale e spirituale.

I meccanismi che muovono moda e religione, a pensarci, non sono così differenti. Simmel, sociologo che affronta ampiamente il tema moda, sosteneva che la moda assecondasse due desideri dell’uomo: appartenenza e differenziazione. Vestirsi in una certa maniera determina infatti l’appartenenza ad un gruppo e, al contempo, l’estraneità da un altro. Allo stesso modo l’aderire ad un credo religioso simboleggia il legame con una comunità e l’opposizione ad un’altra. Inoltre tutte e due le materie si basano su un sistema assolutamente dogmatico. Le scelte della moda, come le verità religiose non hanno e non devono avere una spiegazione. Fa parte dell’indole del fedele credere ai dogmi senza farsi troppe domande come nell’indole del fashion addicted sta l’idea di seguire il trend qualunque esso sia. Sembrerà un accostamento azzardato, ma è effettivamente così.

Federico Fellini, Roma 1972-moda e religione

Innegabile il fatto che tutte le religioni, prima tra tutte il cattolicesimo, facciano capo ad un sistema di sensi legato agli abiti. Non vi è credo strutturato, e non, in cui manchino delle vesti sacre strettamente legate al ruolo del fedele. Il cristianesimo, per esempio, ha un’impalcatura vestimentaria molto complessa e distinta. Ogni ruolo del clero e ogni ordine religioso ha un suo abito che lo distingue dagli altri. Il tutto è ben descritto nella famosissima scena della sfilata ecclesiastica nel film di Fellini “Roma” del 1972. Il regista mette in piedi uno strabiliante show degno del più grande dei designer tutto costituito da sfarzosi capi dedicati ai vari ordini sacri. Dai look per le suore a quelli per i vescovi. Il tutto in una cornice estremamente opulenta e sfarzosa in una critica non troppo velata ad una chiesa romana che predica povertà dall’alto di troni in oro massiccio.

Moda e religione: le collezioni

Se la religione non centrasse nulla con la moda, di fatto, le vesti sacre non esisterebbero e i dogmi religiosi non metterebbero bocca sull’abbigliamento. Ne tantomeno gli stilisti avrebbero mai pensato di dedicare intere collezioni al legame tra sacro e profano. Invece non è così. Che si voglia accettare o meno moda e religione sono due realtà presenti e influenti all’interno della società che si condizionano a vicenda. Se pensiamo ai grandi designer del secolo scorso, infatti, il legame è più che mai simbiotico.

Tutta la produzione di Madmoiselle Chanel, di fatto, è influenzata dalla sua infanzia passata in un collegio di suore. Il suo logo pare rifarsi ad alcune vetrate del collegio, così come i colori bianco e nero, predominanti nella sua produzione, fanno capo all’abbigliamento delle suore. E in generale il rigore proposto dalla stilista è figlio della sua educazione religiosa. Riferimenti ancora più chiari si leggono nell’alta sartoria romanda degli anni ’50. In un luogo come la città eterna, culla del potere pontificio, la moda non poteva che intrecciarsi con la spiritualità. Le sorelle Fontana nel 1956 realizzarono il “Pretino”. Un abito in pieno stile anni ’50 ispirato alla tunica nera dei preti indossato da niente di meno che Eva Gardner. Nel 1960 fu invece Germana Muracelli a realizzare l’applauditissima linea Vescovo ispirata ai cardinali realizzati dallo scultore Giacomo Manzù.

Sarà negli anni ’80 che il simbolo della croce acquisirà un’allure estremamente Glam. Grazie a star come Madonna che portavano orecchini e collane con crocifissi e stilisti come Christian Lacroix. Il designer francese farà della croce bizantina, opulenta e ricca di gemme, la sua firma. Nel 1988 sarà sua infatti la t-shirt nera con la croce fotografata sull’indimenticabile copertina del primo Vogue America diretto da Anna Wintour. I riferimenti non finiscono quì. Simbolica l’ultima haute Couture di Versace disegnata da Gianni dell’autunno inverno 1997-1998: “Byzantium”. I provocanti abiti da sera in pelle o maglia Oroton disegnati da Gianni sono arricchiti da decorazioni a croce in pieno stile Bizantino.

A confermare ancora di più il legame tra moda e religione è il vescovo che calca la passerella del Dior disegnato da Galliano per la collezione “Freud e il feticismo” del 2000. Nel matrimonio edoardiano immaginato dal designer il vescovo celebrante indossa, infatti, un abito in pieno stile new look. E poi come non citare le collezioni di Dolce&Gabbana. Il duo siciliano gioca in continuazione con il sacro e il profano, influenzato dalla loro terra d’origine.

E infine il Met Gala del 2018: “Fashion and the Catholic immagination”. Tutti i grandi designer si cimentano nella reinterpretazione dei dogmi della religione cattolica in chiave fashion. Il red carpet è un tripudio di opulenza che gioca con le due forze in opposizione: sacro e profano. C’è chi incarna alla perfezione il concetto di opulenza descritto nella scena di Fellini prima citata e chi, decide di riscrivere il look di alcuni personaggi che hnno fatto la storia della chiesa cattolica. Vescovi, Papi, Madonne e perfino Giovanne D’arco calcano una passerella che incarna l’essenza di questo simbiotico e innegabile legame tra moda e religione.

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