Odiata e amata da sempre, la stampa animalier ha vissuto diversi cambiamenti, ma è sempre rimasta un punto fisso per la moda, nolente o volente che fosse.
Se siete stati attenti camminando per strada, vi sarete sicuramente accorti che la stampa animalier è ritornata, di nuovo, in voga. A dirla tutta, definirla solo ritornata di moda è poco. Il motivo animalier è davvero stato ripreso ovunque. Non si tratta di qualche influencer o di qualche marchio che le fa riprendere popolarità per qualche mese e poi nulla.
L’animalier sta prendendo sempre più spazio nei look e nei capi d’abbigliamento di qualsiasi marchio, di basso, medio o alto livello che sia.
Ma facciamo qualche passo indietro, da dove arriva l’animalier?
Se vogliamo proprio iniziare dall’inizio-inizio possiamo addirittura arrivare alla preistoria, quando le pellicce di animali venivano usate come indumenti. Lì, l’animalier, vuoi o non vuoi, ce lo avevi incorporato. Saltando il periodo dei romani, in cui le stampe maculate vengono bannate e condannate come simbolo di lussuria, si può far risalire il punto di partenza dei look animalier tra il Seicento e il Settecento.
La stampa animalier, soprattuto quella leopardata, entra nelle corti europee simboleggiando una riscoperta passione per l’esotico.
La vediamo spesso nei ritratti di uomini potenti come comandanti o combattenti in armatura, l’animalier, sottoforma di caposcala, in quel caso simboleggiava il coraggio e la fierezza dell’uomo. Facciamo poi un salto in avanti e arriviamo all’era d’oro del maculato: il Novecento.
Dive di Hollywood iniziano a indossarlo e proprio il mondo del cinema porta in auge la combo animalier e stile di vita eccentrico.
Un esempio sono i costumi di scena del film “Tarzan l’uomo scimmia“, negli anni ’30. Pensiamo anche a Bettie Page, pin-up per eccellenza, che negli anni Quaranta, in diversi servizi fotografici, indossa bikini leopardati e tigrati, dando vita all’ideale della donna predatrice.
Nel 1947 assistiamo al battesimo dell’animalier in passerella con Christian Dior, che con il motivo stampato crea una collezione primavera estate di abiti “imprimé jungle” leopardati.
Ecco che quindi la percezione dell’animalier cambia: da eccentrico e Too Much diventa chic ed elegante. La moda accetta l’animalier anche grazie a Bianchini-Férier, produttore di seta e stilista francese, che sviluppa in esclusiva un tessuto a stampa “jungle“. La sfilata è amata da tutti e l’animalier entra ufficialmente nel mondo dell’alta moda. Si fa ancora più spazio approdando nell’haute couture quando Marlene Dietrich, attrice e cantante tedesca, decide di indossarlo.
Comunque, non solo le modelle e le dive si associano a questa stampa, ma anche Jackie Kennedy, first lady americana del tempo e simbolo di eleganza per il tempo, sfoggia il cappottino creato per lei da le Oleg Cassini coordinato di cappellino in stampa leopardata, ufficializzando il rapporto di eleganza con il motivo.
Arrivano poi gli anni Settanta: il leopardo è a rischio estinzione, ma l’animalier no. Questa volta sono le rockstar a farsi paladine della stampa.
Con l’estetica Glam Rock compaiono abiti stravaganti maculati, zebrati e tigrati, donne e uomini indossano le stampe in qualsiasi occasioni.
Parrebbe poi che l’animalier sia diventato trasgressivo dagli anni ’60, moda parlando. Ken Scott e Valentino iniziano a utilizzarlo per capi dal taglio maschile destinati a donne che, rivoluzionalmente agendo, li indossavano molto volentieri.
Haute couture maschile per simboleggiare concetti di fluidità di genere.
Parte tutto nella Londra degli anni ’60 con la “Peacocks revolution“: gli uomini abbandonano i classici completi dai toni scuri e preferiscono uno stile colorato e extra.
Facciamo ancora un passo avanti: anni ’90, wow! La stampa animalier nella moda diventa sinonimo di sexy catwoman.
Naomi Campbell su Vogue italia 1991 indossa un total look panthere firmato Azzedine Alaïa. Ancora: Veruschka spesso scattatta “selvaggia”, la vediamo nell’iconico scatto di Franco Rubartelli in cui il corpo viene trasformato in zebra.
Roberto Cavalli e Krizia, assieme a Gianni Versace, di questa stampa ne fanno il proprio segno distintivo.
Insomma, la storia di questa stampa è segnata da tantissimi sali e scendi per quanto riguarda la sua estetica e a cosa viene associato. Se nasce come un simbolo di coraggio e di fierezza, finisce spesso a sovvertire l’idea di chic diventando sempre più simbolo del trasgressivo e dell’eccentrico.
Ora come ora si definirebbe solo come “alla moda”, ma è divertente scoprire come sia cambiata la sua storia fino ad oggi, in cui tanto eccentrico non lo è più.
L’animalier durante tutto questo tempo è comunque rimasto, non se n’è mai davvero andato. I brand hanno continuato a produrlo. Associato spesso all’estetica, definibile da tutti, “Tamarra” è stato snobbato fino ad oggi, momento in cui il maximalismo è tornato in auge e si è riportato con sé i suoi simboli caratteristici, tra cui l’animalier.
Molti sono stati contenti di ritirarlo fuori dall’armadio, altri sono andati a comprare per la prima volta capi full animalier, criticati fino a poco prima. Altri ancora non hanno mai smesso di indossarlo. Sicuramente definibile come una tendenza strutturale, l’animalier sembra essere tornato per restare e se mi dite che non avete nulla di maculato non vi credo, quindi tanto vale indossarlo.
Io personalmente annovero John Galliano nella mia lista di icone di stile, quindi figuratevi come posso aver preso bene questa svolta nella moda. W la Revolution, W l’animalier!