Giappone: relazioni in affitto

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Siamo sempre più vicini a San Valentino e qualcuno, per evitare situazione imbarazzanti e domande scomode, potrebbe pensare di affittare un fidanzat*. Beh in Giappone tutto questo è possibile, ma come funziona il business delle relazioni in affitto?

Il Giappone conta 125,7 milioni di abitanti eppure il problema della solitudine e della mancanza di relazioni è centrale nel paese. Dal 2020 è stato registrato infatti in Giappone, dopo 11 anni, un aumento del tasso di suicidi. Motivo per cui il governo ha pensato, nel febbraio 2021, di istituire un “Ministero della solitudine” (su modello britannico) per gestire i gravissimi problemi di isolamento crescenti nella società nipponica.

Famosissimo è il fenomeno dei cosiddetti Hikikomori. Giovani che, per esprimere disagio nelle relazioni, si rifiutano di partecipare alla vita sociale, scolastica e/o lavorativa. Si tratta di un problema estremamente sentito in Giappone, secondo una stima fatta dal governo nipponico nel 2022 infatti gli Hikikomori erano circa 1,5 milioni. Il motivo di questa estrema solitudine è legato al senso del dovere tipico della società giapponese che vede la realizzazione lavorativa come unico scopo. Si tratta di una tendenza comportamentale figlia della società nipponica degli anni ‘90. Quando le interminabili giornate negli uffici non permettevano la socializzazione e la nascita di relazioni.

Come risponde la società giapponese?

La risposta del popolo giapponese è quella di servizi delle “relazioni in affitto”. Nascono infatti a fine degli anni ‘90 dei veri e propri business che permettono di affittare parenti, fidanzati o amici da portare con se nelle azioni della vita quotidiana. Lo scopo? Dare l’illusione di avere una famiglia e dei rapporti interpersonali in concomitanza con una carriera professionale florida.

Attraverso questi servizi è possibile affittare per qualche ora o per giorni (si arriva anche a settimane, mesi ed anni) una persona che si comporterà come un fidanzato piuttosto che un amico. La prestazione consiste quindi nell’ inscenare una relazione andando fuori a cena piuttosto che facendo shopping insieme al cliente. Gli attori di questo business sono chiamati host o hostess e sono tenuti a comportarsi come desidera il cliente, nel primo incontro infatti si decidono delle linee guida da seguire.

Non è questo un fenomeno da confondere con la prostituzione. Gli host non sono tenuti a contatti fisici che vadano oltre strette di mano o abbracci. Non sono infatti contemplate nel loro lavoro prestazioni sessuali o effusioni amorose. Anche perché non si tratta solo di affitto di fidanzat*, ma anche di amici o parenti con cui passare le festività. Tra le possibilità c’è anche quella di pagare un anziano con cui chiacchierare.

A fruire di questo servizio sono principalmente uomini e donne che ricoprono ruoli di spicco nelle principali aziende del paese. Persone che hanno puntato tutto sulla loro vita lavorativa trascurando le relazioni interpersonali. A confermare ciò è l’esperimento sociale fatto dal canale youtube “Progetto Happiness” di Giuseppe Bertuccio D’angelo dove una hostess risponde liberamente alle domande dell’intervistatore riguardo il suo lavoro.

Si tratta di un panorama estremamente triste legato proprio alla mentalità orientale ancora molto ancorata a schemi passati. Non avere una famiglia significa avere fallito così come non fare successo nel lavoro (non che nel nostro paese sia molto diverso). E allora se avere tutto è impossibile la soluzione è mettere in scena l’irreale.