Michele Bravi: un ragazzo che ancora fa fatica a chiamarsi uomo

da | LIFESTYLE

Nato sotto il segno del sagittario Michele Bravi accende la sua stella ad X-factor 2013. Un po’ romantico, un po’ maledetto Michele è un poeta con una visione dell’arte a tutto tondo. L’amore, quello vero senza limiti e senza costrizioni, è il motore della sua musica che dalla mezzanotte del 5 gennaio porta il titolo: “Per me sei importante”.

Ciao Michele, informandomi sulla tua vita, ho capito che potrebbe essere divisa in capitoli  come un libro (X-factor, Sanremo, cinema ecc.) in quale capitolo della tua vita ti trovi ora?  

In un capitolo in cui i generi letterari si mescolano in maniera del tutto omogenea: c’è la  commedia, c’è il romanticismo, c’è il mistero e mille altri sapori. Cerco sempre di non avere una  visione monolitica di me stesso e il mio percorso lavorativo ne è lo specchio. 

Tutto comincia da quel fattore x che ti ha dato la fama. Tu eri nella squadra di Morgan,  oggi il giudice più chiacchierato…qual è l’insegnamento più grande che ti ha lasciato? 

Da Morgan ho imparato la cura, il rispetto e l’amore per la musica. La musica va coltivata come  grano in un campo: va protetta dalla pioggia insistente e dal sole rovente, bisogna sporcarsi le  mani di terra e saperla rendere un bisogno primario per tutti. 

Le tue canzoni hanno favorito la creazione di un immaginario che ti vede come un poeta  romantico, ma tu stesso hai deciso di smentirlo annunciando da Mara Venier di “essere uno  schifoso”…insomma potremmo definirti un D’annunzio dell’epoca moderna? 

Io uso l’ironia per scherzare sulle mie contraddizioni. Tutti siamo sia romantici che superficiali, sia  intensi che annoiati. È ovvio che per fare musica uso delle corde specifiche della mia personalità  ed è chiaro che per chi ascolta quelle canzoni io appaia solo in quel modo lì. È anche palese che però in me ci siano tutti i difetti di un ragazzo che ancora fa fatica a chiamarsi uomo. 

Non per nulla in una delle tue canzoni più celebri “Solo per un po’” parli più o meno  esplicitamente di un rapporto orale, ma pare che nessuno se ne fosse accorto  probabilmente perché è impensabile che lo stesso che ha scritto canzoni poetiche abbia la  sfrontatezza di dedicare un’intero brano al sesso orale (in un’accezione non troppo  romantica)…ti piacerebbe che questo tuo lato provocatorio uscisse maggiormente? 

Io non trovo che ci sia una volontà provocatoria nel parlare di sesso. Ho sempre vissuto l’atto  sessuale in maniera naturale e del tutto poco maliziosa. Credo profondamente che la libertà di  descrivere la carnalità dei corpi valga tanto quanto il romanticismo con cui si può raccontare un  bacio. 

Il mondo queer sta conquistando la musica: oltreoceano spopolano le canzoni di Troye  Sivan e in Corea gli idol k-pop sono sulla bocca di tutti. In Italia possiamo considerarti icona  queer? 

Non credo di essere un’icona in quel senso. Credo però fortemente nella lotta che questo tipo di  creatività racconta. La comunità LGBTQIA+ è la mia comunità. Le loro battaglie sono le mie  battaglie. E se con un pezzettino della mia musica posso muovermi nella direzione di un  cambiamento a favore dei diritti ben venga.

La tua immagine da dandy romantico è stata sicuramente agevolata dal tuo look che,  ultimamente, sta prendendo una svolta sempre più punk (senza perdere l’allure da poeta  maledetto), come lavori con la tua immagine e quanto credi sia parte della comunicazione? 

La componente visiva è necessaria per dare tridimensionalità alla musica. Mi piace che le canzoni  trasformino anche il mio corpo, il mio modo di muovermi. Ho sempre amato lo spettacolo in  senso completo. La ricerca estetica usa sempre come bussola quello che scrivo sui tasti di un pianoforte. 

In una delle tue canzoni più celebri “Mantieni il bacio”, una vera e propria poesia in  musica, parli di una “ferita del mondo”…qual è questa ferita e qual è, se c’è, il ruolo dell’arte  in tutto questo? 

Credo che l’arte in generale possa raccontare come si esce dal dolore ma non è direttamente la  cura. Frasi come “la musica mi ha salvato” le ho sempre trovate pericolose. In un momento in cui  lo stigma rispetto alla salute mentale è ancora forte, credo sia importante sottolineare che chi  affronta un grande dolore ha bisogno di un sostegno psicologico professionistico. Io dico sempre  che la musica non salva da niente ma almeno disegna il labirinto. 

Dal “Diario degli errori” passando per “Odio”: le tue canzoni narrano sempre di un amore tossico in cui si aprono ferite, ci si odia, ma ci si ama. Qual è il tuo  rapporto con l’amore è in che misura in questo sentimento rientra la sofferenza? 

Penso che non possa esistere un amore-tossico. Se è tossico non è in alcun modo amore. Quando ci si  trova in una relazione disfunzionale l’argomento non è mai l’amore, piuttosto è il bisogno, la  dipendenza, il possesso. L’amore, l’unico che riconosco come tale, non ha mai bisogno di aggettivi dispregiativi che lo  macchino. 

“Per me sei importante” è il secondo capitolo del disco in uscita. cosa puoi raccontarci?

Questa canzone rappresenta un capitolo musicale più intimo e raccolto. È la storia di un amore delicato tra due anime sottili. Se con il primo singolo raccontavo la disfunzionalità di un rapporto, in questa canzone c’è tutta la dolcezza della malinconia.

Nella tua carriera ti sei raccontato sotto diversi aspetti, cosa dobbiamo ancora scoprire  di Michele Bravi?  

Spero che la volontà di migliorarsi ed esplorarsi non vada mai diminuendo nel mio percorso e  cercherò di raccontare tutto quello che troverò in questa scoperta.