Nell’ultimo periodo la pelliccia è tornata a far parlare di sé e in poco tempo si è ripresa i suoi spazi tra le vie delle città. Ne vediamo di tutti tipi e di tutti i colori, ma la domanda che tutti ci chiediamo è: pelliccia vera o pelliccia finta? Quale delle due è giusto indossare?
Se siete stati attenti avrete sicuramente notato quello che sta succedendo per le strade. Sfilate di pellicce eco e non affollano le vie. Ah la moda…quanto ci piace parlarne male, ma quanto ci piace seguirla. Perché certo, è sempre un fatto di moda.
Le pellicce esistono da sempre, praticamente da quando è stato scoperto il fuoco, ma siccome parliamo di vezzo e non di esigenza, andrei spedita e sorvolerei l’era glaciale.
Già dal Cinquecento alcuni pittori ci mostrano come le classi agiate indossassero pellicce di volpe, lupo e zibellino per distinguere il loro status di potere e di lusso.
Per secoli, tra l’altro, la pelliccia è stato un capo prettamente maschile.
Secondo me questo la Charlie non lo sapeva quando ha recuperato la pelliccia della nonna dalla mansarda.
Nei look più femminili in realtà venivano utilizzate per colli, bordi di maniche e di gonne. Era per lo più un piccolo accessorio.
Diventa poi parte del guardaroba femminile verso la fine dell’Ottocento.
Una storia interessante ci racconta che pare sia tutto iniziato nel 1893, quando la flotta della marina russa arrivò nel porto di Telone in visita, come segno dell’amicizia tra lo Zar e la Francia. L’abbigliamento russo inizia a farsi strada negli atelier dei sarti francesi e quando tre anni dopo, lo stesso Zar ritornò a Parigi, le bellissime pellicce delle dame a seguito dell’Imperatrice diedero ufficialmente inizio alla moda delle pellicce da donna.
Poi la pelliccia diventa un capo esclusivamente elitario, fino ad arrivare alla borghesia e da lì arriverà nei negozi più comuni seguendo le mode e le tendenze.
Per quanto riguarda la fattura è stata la pelle di foca ad aggiudicarsi il primissimo primato di popolarità poi il resto è storia. Cincilla, ermellino, procione, visone, volpe, astrakan, scoiattolo e zibellino, permettevano una grande variabilità dei capi e ovviamente aiutavano a mantenere quella posizione di status di cui già godeva la pelliccia.
Nell’olimpo della moda, ad aprire la porta del Fashion Heaven a questi capi costosissimi, sono state le sorelle Fendi nel 1964, con un giovanissimo Karl Lagerfeld al comando creativo.
Karl fa un grosso lavoro di trasformazione del concetto di pelliccia rendendolo un capo disinvolto e semplice da indossare.
Un altro marchio ha aiutato in questo percorso di reinterpretazione, Annabella. Una pellicceria fondata a Pavia nel 1960 da Giuliano Ravizza il quale decise di comprimere i costi di produzione del capo e lo presenta ad un prezzo abbordabile. Giuliano fu il primo a pubblicare pubblicità sui giornali di questi prezzi accessibili, il primo a fare pubblicità televisiva.
Poi negli anni ’60 il fattaccio: ci si pone il quesito più oscuro del mondo delle fur.
Quanto è etica la produzione di pellicce?
In quegli anni le pellicce avevano appena iniziato a muovere i primi passi sulle passerelle e nei negozi e si vedono sfrecciare davanti le produzioni delle pellicce sintetiche, poi ridefinite ecologiche verso la fine del millennio, momento in cui la tematica ambientalista si fa sempre più calda.
Nonostante per alcuni la pelliccia sintetica non abbia mai davvero rappresentato un’alternativa a quella vera, c’è da dire che la eco fur ci ha fatto colori molto accessi e disegni simpaticissimi, ad un prezzo davvero molto basso. La contesa contro la produzione di pellicce vere è rimasta una ferita che tutt’ora risulta aperta, ma forse meno di prima. La vernice rossa lanciata fuori dalla Scala di Milano, direi che l’abbiamo superata, l’eco fur forse un po’ meno.
La produzione di queste pellicce finte non è così eco-sostenibile come ci piace pensare.
Generalmente prodotte con fibre vegetali come il cotone, presentano anche fibre artificiali e sintetiche come l’acrilico, materiali davvero molto inquinanti. Neanche Il processo di produzione si salva, infatti è molto dispendioso di energie, risorse e sostanze chimiche. L’introduzione di polimeri acrilici è stata di per sé un problema per l’impatto ambientale, problema che si è ingigantito con la scoperta della resistenza dei materiali acrilici al fuoco, se miscelati con le giuste sostanze chimiche. Sostanze che, tra l’altro, gli davano una somiglianza ancora più fedele al pelo della pelliccia vera.
Tutt’oggi questi tessuti chimici, i modacrlici, sono il polimero primario utilizzato nella produzione di pellicce sintetiche. Quindi alla fine della fiera, questa eco fur, di eco ha praticamente nulla.
Sicuramente non inneggerei mai alla riapertura della produzione di pellicce vere, ma contro quelle della nonna ho ben poco, direi niente. Se la pelliccia esiste già, ovviamente croppata perchè la moda dà e la moda toglie centimetri alle pellicce ereditate, è davvero così sbagliato riutilizzarla, invece che acquistare il primo modello che riesce ad arrivare per primo nel negozio più vicino a casa? Io penso di no.
Quindi, dite alla Charlie che ci sta tutta la pelliccia della nonna per fare l’ape in centro, ci sta un po’ meno dare soldi e visibilità a prodotti che di ecologico hanno solo la nomea. Ma poi scusate, sbaglio io o andava di moda il vintage?