Tra pelle ed ecopelle… c’è Desserto

da | SUSTAINABILITY

Si fa presto a dire ecopelle. O dovremmo dire similpelle? O finta pelle? E questi termini sono tra loro sinonimi? Ve lo dico subito: la risposta è NO. E scoprirete anche che Desserto non è un refuso…

Visto che il mio lavoro è strettamente legato alle parole e al loro (buon) uso, oggi vorrei partire proprio da questo. Ecopelle e similpelle sono materiali diversi e a dirlo è la legge.

Ecopelle è – e deve indicare – un materiale di origine animale a ridotto impatto ambientale. Ciò soddisfa i requisiti previsti dalla norma UNI 11427:2011 che fissa i ‘Criteri per la definizione delle caratteristiche di prestazione di cuoi a ridotto impatto ambientale’.

Non va assolutamente confusa con la finta pelle che, invece, è ottenuta da materiali sintetici di origine non animale.

La finta pelle o similpelle o vinilpelle può essere un tessuto impregnato o spalmato con resine poliuretaniche oppure può essere completamente sintetico,  ovvero senza supporto in tessuto.

Il rispetto della norma UNI 11427:2011 evita confusioni e ambiguità indotte da interessi commerciali o pubblicitari e da usi scorretti e ingannevoli. E vieta l’applicazione del termine ecopelle a tutto ciò che è materiale sintetico.

Pensate che, in realtà, l’uso improprio del termine ecopelle contrasta con leggi che esistevano già molto prima del 2011.

Cito, per esempio, la legge n. 1112 del dicembre 1966 (!) poi abrogata e superata da provvedimenti più moderni. E recentemente è stata pubblicata una ulteriore norma di riferimento, la UNI 11427:2022, per definire le prestazioni che deve avere una pelle (vera) prodotta con ridotto impatto ambientale, per potere essere chiamata ‘pelle ecologica’ (se volete dare un occhio la trovate qui).

Eppure… fatevi un giro sugli shop online e contate quante volte i termini similpelle ed ecopelle vengono usati come sinonimi intercambiabili, l’uno al posto dell’altro… e dunque non correttamente, visto che non sono sinonimi e indicano materiali diversi.

Vi chiederete perché alcuni (troppi) continuano a usare terminologie improprie. A chi giovano confusione e ignoranza (senza insulto, intesa nel senso più puro del termine, come non conoscenza)?

La mia opinione è che non giovano a nessuno. Né a chi vende né a chi acquista.

La questione è complessa, con molteplici sfaccettature. Perché – ripetiamolo ancora una volta – l’ecopelle non può certo essere un materiale vegan, visto che è di origine animale. Ma la finta pelle è un materiale industriale che fa sì che ogni volta che, per esempio, laviamo un capo, vengano rilasciate microplastiche, dei minuscoli frammenti di plastica che si disperdono nell’acqua.

C’è dunque in ballo il discorso della salvaguardia degli animali. C’è in ballo la salvaguardia dell’ambiente perché la plastica non è certo ecologica. Le microplastiche possono essere ingerite dagli animali con effetti catastrofici sulle specie e sull’intero ecosistema. Ed ecco che il cerchio si chiude in un legame indissolubile.

Lasciatemi dunque dire una verità scomoda: non è facile avere materiali sostenibili al 100%, eticamente e ambientalmente.

Materiali riciclati, lavorazioni e processi più rispettosi, risparmio di acqua ed energia, riduzione delle emissioni di carbonio: certo, sono tutte ottime iniziative per diminuire l’impatto dell’industria tessile sull’ambiente. Eppure, l’eccessiva produzione spesso le vanifica. La sovrapproduzione (overprodction se preferite l’inglese) è oggi una delle sfide più grandi che l’industria della moda deve affrontare.

Un’altra grande sfida riguarda i materiali. L’industria della moda non può più fare affidamento sulla plastica per risolvere i problemi etici all’interno delle proprie catene produttive. Abbiamo bisogno di investimenti in materiali rispettosi degli animali, certo, ma che siano anche di origine non esclusivamente sintetica e industriale.

Serve quindi la progressiva sostituzione della similpelle con materiali che abbiano origine da materie alternative. La buona notizia è che questi materiali sono già in fase di sviluppo: ci sono studi per pelli di origine vegetale ricavate da ananas, bucce di mela, funghi, uva – giusto per citarne alcuni.

Certo, i nuovi materiali percorrono una strada fatta di successi e, a volte, insuccessi. O stop.

È di quest’estate, per esempio, la notizia del fallimento del materiale Mylo, prodotto dalla startup statunitense Bolt Threads, progettato per essere un’alternativa tattile e visiva molto simile alla pelle di origine animale. Generato a partire dal micelio, l’apparato vegetativo dei funghi, Mylo è stato protagonista degli esperimenti eco-friendly di maison del calibro di Hermès e Stella McCartney (da sempre a vocazione green) e colossi dello sportswear come Adidas.

Ma per un progetto che si ferma, eccone un altro che invece procede a gonfie vele: si tratta di Desserto, il progetto sviluppato da Adrián López Velarde e Marte Cázarez.

Adrián López Velarde e Marte Cázarez

Entrambi originari del Messico, Adrián e Marte hanno sviluppato un’alternativa vegana alla pelle.

È realizzata con nopal, una pianta appartenente alla famiglia delle Cactacee comunemente chiamate cactus. L’hanno presentata con successo nel 2019 proprio in Italia, a Milano. Il suo nome commerciale è Desserto e ha caratteristiche competitive rispetto alla pelle animale e a quella sintetica. Offre sostenibilità e garantisce ottime prestazioni tecniche ed estetiche.

Adrián e Marte hanno avuto l’idea dopo aver lavorato nei settori del mobile, dell’automobile e della moda. Hanno potuto comprendere la gravità del problema dell’inquinamento. E, sinceramente interessati a ridurre l’impatto ambientale, hanno deciso di avviare Adriano Di Marti, azienda focalizzata sullo sviluppo di Desserto oggi conosciuta come pelle vegana di cactus o nopal.

La loro missione è diventata essere in prima linea nell’innovazione sposando le esigenze del mercato della pelletteria.

Desserto è un materiale contraddistinto dalla grande morbidezza al tatto. Rispetta i più rigorosi standard di qualità e ambientali. Offre dunque un’alternativa cruelty-free e sostenibile, senza sostanze chimiche tossiche, ftalati e PVC. È parzialmente biodegradabile e possiede le specifiche tecniche richieste dall’industria della moda, della pelletteria, del packaging di lusso e dell’arredamento.

C’è anche il Deserttex, un materiale esclusivo per il settore automobilistico.

Tra pelle ed ecopelle c’è Desserto 03

Prodotto in un’ampia varietà di colori, spessori e texture, Desserto può superare le richieste di un settore in continua evoluzione senza gli svantaggi di altre produzioni.

In Messico, nello stato di Zacatecas, Adrián e Marte hanno un ranch dove coltivano la loro materia prima, il cactus. Al ranch selezionano e tagliano solo le foglie mature della pianta senza danneggiarla: ogni 6-8 mesi c’è un nuovo raccolto.

Il cactus nopal è molto resistente e forte: può sopportare le basse temperature durante l’inverno senza morire e le sue spine sono molto piccole, quindi è più facile e sicuro raccoglierlo.

Inoltre, non viene utilizzato un sistema di irrigazione artificiale e vengono sfruttati i minerali della terra.

La specie è autoctona, tipica della regione, ed è una pianta detta tecnicamente CAM (Crassulacean Acid Metabolism). Il cactus assorbe CO2 durante la notte, genera ossigeno e assorbe l’acqua presente nell’atmosfera, per esempio la rugiada mattutina o le acque piovane.

Nel sito si trovano moltissime informazioni interessanti. E si possono vedere le certificazioni e i riconoscimenti prestigiosi ottenuti da Adrián e Marte. Faccio giusto un nome… PETA.

Attraverso i canali social (qui Instagram) si possono vedere le continue collaborazioni. Tra le più recenti ce n’è una con Hublot, prestigioso marchio di orologi di lusso controllato dalla holding LVMH, e una con Calvin Klein per una borsa porta borraccia.

Insomma, dopo ecopelle e similpelle e il pasticcio nell’utilizzo dei termini, oggi la speranza sembra arrivare dalla pelle vegana. Sempre a patto che regnino chiarezza e trasparenza, come nel caso di Desserto.

A noi tutti spetta l’onere di pretenderle per essere non semplici spettatori bensì consumatori consapevoli.

Photo credits Desserto by Adriano Di Marti