Direttori creativi: burattini del sistema moda

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Si è chiuso il fashion month ed è il momento di tirare le fila su quanto successo. Tra addii ed esordi è stato, senza ombra di dubbio, un periodo tormentato per il fashion system che ha visto avvicendarsi innumerevoli cambiamenti. I tempi mutano e così anche i designer si adeguano. Ma quale sarà il motore di tutto questo gioco di poltrone?

Si sa, per definizione, la moda è volubile ed atta al cambiamento. D’altronde è proprio il continuo mutare ad essere il motore di un sistema, per indole, stagionale. Sembra che però ora a cambiare, con una certa velocità, siano non solo i trend, ma anche i direttori creativi che, spesso inaspettatamente, abbandonano le maison seguiti da un comunicato stampa pieno di onori e ringraziamenti.

Alessandro Michele abbandona Gucci, lasciando spazio a De Sarno. La storica Burton lascia McQueen, che verrà sostituito da Sean McGirr. Così come, oltreoceano Peter Do sostituisce Helmut Lang, o ancora Tom Ford lascia la sua maison a Peter Hawkings. E poi ci sono gli addii senza arrivi come quello di Walter Chiapponi da Tod’s o quello di Jeremy Scott da Moschino che rimangono ancora orfani di direttore creativo.

È questo il paradigma di un sistema moda relativamente recente in cui nasce la figura del direttore creativo sostitutiva a quella dello stilista fondatore della maison. Un tempo la moda era costituita da un parterre di aziende, perlopiù familiari, il cui fondatore si occupava della realizzazione delle collezioni. Con il tempo le griffe sono diventate sempre più grandi e, con la scomparsa dei loro fondatori, hanno perseverato nel tempo affermandosi come realtà imprenditoriali, spesso gestite dai grandi agglomerati del lusso. Motivo per cui i fondatori sono stati sostituiti da stilisti-imprenditori che prendono il nome di direttori creativi. Figure che si occupano, per un periodo limitato, di gestire a 360 gradi le proposte del brand: dalla comunicazione al prodotto.

Il direttore creativo è perciò una figura, oltre che abbastanza recente, relativamente instabile. C’è chi dura poche stagioni e chi fa la storia del brand, ma, senza dubbio, la stabilità non è il punto forte del fashion system.

Ma chi è il burattinaio in questo gioco?

Beh come sempre sono le grandi holding del lusso ad avere il coltello dalla parte del manico. Prime tra tutte LVMH e Kering. Sono loro e i loro consigli di amministrazioni a scegliere le sorti creative dei brand e di certo il criterio non è quello della lungimiranza progettuale. Ad alimentare il fashion system, che da realtà familistica è diventato imprenditoriale, sono ovviamente i numeri. In funzione dei piani di crescita finanziaria di un brand cambia la sua direzione creativa. Pare sia stato questo il caso di Gucci. Il brand fiorentino, sotto la guida di Alessandro Michele, ha guadagnato in hype, ma perso in vendite. Così dopo che Michele ha risvegliato l’interesse popolare per il brand subentra De Sarno che lo riporta in una sfera reale con il proposito di alzarne il fatturato.

Ma quindi la moda è fatta solo di puro interesse economico?

Sni. È molto complesso dare una risposta a questa domanda. Il sistema moda è un mix, non sempre equilibrato, tra esigenze di mercato e necessità creative. Oggi con il subentrare dei grandi agglomerati finanziari il peso del mercato si fa sentire più di prima, ma non è del tutto negativo. La verità è che la moda si occupa di registrare ciò che succede nella società e cosa c’è di più veritiero che il portafogli nel mondo contemporaneo. Le tendenze di mercato, oggi, vanno di pari passo con quello che vediamo in passerella. Il mondo cambia, la società pure e la moda, semplicemente, si adegua.

Quello che era necessario ieri, per l’economia, oggi non lo è più. Così come ciò che nella moda ieri era contemporaneo oggi è già desueto. Il mutamento è veloce ed è figlio di un tempo che corre sfidando la velocità della luce. Ormai è inutile piangersi addosso ricordando una realtà che non esiste più. Se non c’è più è perchè, evidentemente, non è quello di cui la società ha bisogno. E allora basta rimpiangere il passato; è ora di guardare al futuro con occhio critico e speranzoso.

Per dovere di cronaca, non dobbiamo poi fare di tutta l’erba un fascio. Se è vero che, buona parte del sistema è giostrato da esigenze di mercato ci sono poi anche degli addii inspiegabili e dal carattere più sentimentale. È questo il caso di Sarah Burton che dopo anni di onorato servizio lascia quello che potremmo definire tranquillamente il suo brand. Oppure quello di Walter Chiapponi che dopo un’egregia performance da Tod’s se ne va verso nuove frontiere.

La verità è che non possiamo spiegarci tutto anche perchè, se no, dove finirebbe l’affascinante aurea misteriosa che avvolge la moda?