Magliano, vincitore del premio Lagerfeld, riscrive i codici del fashion system. La rivoluzione operaia di Magliano prende forma a Milano in un dejavu degli anni 70.
Lo chiamavano Palazzo del ghiaccio, ma da oggi sarà rinominato Pala Magliano. A Milano il vincitore del premio Karl Lagerfeld ci riporta in un collettivo proletario degli anni 70. Il palazzo, allestito come un ritrovo di giovani rivoluzionari del secondo ‘900, con striscioni e sedie rovesciate, ospita una collezione che ribalta gli schemi del sistema moda.
Magliano vuole distruggere la struttura elitaria della moda. Per farlo riparte dagli ultimi a cui dedica l’intera collezione. I movimenti rivoluzionari degli anni 70 ispirano il giovane, ma promettente, designer. Le rivoluzioni operaie e studentesche degli anni di piombo italiani riaffiorano sulla passerella. Quell’anima sovversiva ed irriverente dei manifestanti è il cuore dell’uomo Magliano per la SS24.
Lo stile promosso dallo nuova promessa italiana strizza infatti l’occhio al mondo dei clochard. Layering, mix di forme, volumi e materiali costituiscono un guardaroba fatto di capi precari ed effimeri. Tenuti insieme da nodi e spille gli abiti dell’uomo di Magliano raccontano di una vita instabile ed insicura. Capi di fortuna, abiti rotti, stracciati e sporchi contribuiscono alla definizione dello stile homeless di casa Magliano. Tra le uscite stupisce la presenza di un maglione natalizio. A sfilare anche accenni al mondo operaio. Tute da lavoro e t-shirt con la dicitura “Magliano S.R.L.” omaggiano le vittorie delle rivoluzioni degli anni 70 in materia di diritti dei lavoratori.
Spicca la presenza di una catena di monete poggiate sul petto. Ad ispirare la scelta è Alda Merini, musa del creativo, che teneva i soldi vicino al cuore per scongiurare la povertà. Mai sulle passerelle della Milano Fashion Week si sarebbe pensato di parlare di povertà ma oggi tutto è possibile.
Il fil rouge della collezione è senza dubbio quello della malinconia. A contribuire al racconto sono i colori, neutri e schivi che comunicano un’acromia quasi monastica. L’annullamento dell’io e l’alienazione denunciate da Marx ancora agli nel XIX secolo sono parte della storia narrata dalla nuova promessa della moda italiana.
Sembra sia diventata una tendenza quella di tentare di sovvertire i rigidi schemi del fashion system. Ma se si storce il naso quando a farlo è qualcuno che nel tempo ne è stato artefice, allo stesso modo si grida all’ammirazione quando a farlo è il vento della novità.
La rivoluzione operaia di Magliano si chiude con la stupenda voce di Loredana Bertè che canta un inno al cambiamento: “Ed io vorrei cambiare, almeno provare, cercando di capire, non tanto per, solo volare per non, solo per non morire”.
foto: showstudio.com