Tra le numerosi fonti di ispirazione a cui attingono gli studenti di moda per creare le loro collezioni, l’arte occupa un posto frequentato ma… generico.
Vorrei iniziare queste mie conversazioni presentando alcune opere di Fiber Art, che mi paiono fonti molto interessanti e originali, anche se conosciute soprattutto nell’ambiente artistico.
La Fiber Art
Per chi non conosce la Fiber Art, occorre contestualizzarla tra le correnti polimateriche dell’arte, nate nel ‘900. Tra queste la Fiber Art privilegia i materiali o le procedure tessili, con un’estetica che spesso sconfina dall’arte al design e alla moda.
All’interno di questo movimento si distinguono alcuni sottogruppi: la wearable art (tr. arte indossabile, da alcuni chiamata an-wearable, cioè non indossabile), le espressioni concettuali e virtuali, l’uso di alcuni materiali specifici, come la polpa di carta e… il feltro.
Paola Lenti – Tappeto Origami
Cosa è il feltro
In genere si pensa che il feltro sia un tessuto, tecnicamente però non si tratta propriamente di un tessuto, perché non si ricava intrecciando la trama con l’ordito in modo ortogonale con il telaio o con un intreccio curvilineo nella maglia; infatti il feltro si ottiene (a mano o industrialmente) manipolando le fibre di lana con acqua calda e agenti detergenti, fino a quando le fibre si infeltriscono in modo compatto e irreversibile.
Le fibre possono essere grezze o cardate e tinte e la superficie può essere di vari spessori e consistenze, a tinta unita o di vari colori e si presta a numerose lavorazioni: mescolato con altri materiali – tecnica chiamata nuno feltro: con seta, chiffon, garza e altro – lavorato con inserti, ricami, intagli ecc.
La sua versatilità ha fatto sì che negli ultimi anni numerosi designer (vedi Paola Lenti), stilisti (vedi Stella McCartney) e artisti (vedi le opere in feltro industriale del tedesco Joseph Beuys o quelle dell’americano Robert Morris) si stiano dedicando ad esplorarne le possibilità.
Stella McCartney
La leggenda
Tra i numerosi racconti sull’origine del feltro è molto suggestivo quello che la fa risalire ai tempi biblici di Noè, quando le pecore presenti nell’Arca, durante i 40 giorni di navigazione sulle acque, calpestando fiocchi di lana che cadevano dotto le loro zampe, complice la loro urina e dell’umidità dell’ambiente, le trasformarono in un tappeto di feltro (per approfondire: Cristiana Di Nardo, Il feltro: una storia di forme e simbologie. Collana I sugheri, Associazione Le Arti Tessili, Montereale Valcellina-Pn, 2005)
Di Nardo racconta come la più antica testimonianza illustrata della fabbricazione del feltro giunta sino a noi è l’affresco che era all’esterno dell’officina del feltraio Marco Vecilio Verecondo a Pompei (I sec. d.C.), che mostra quattro artigiani alle prese con la manifattura di panni in feltro. Pare che si appoggino a un doppio tavolo inclinato sopra un fornello a legna da cui esce vapore caldo.
Opere contemporanee
Tra i tanti fiber artisti che hanno utilizzato il feltro a mano, voglio presentare una mostra attualissima che si tiene in questi mesi a Roma, presso la Galleria Sinopia, dedicata ad opere in feltro fatto a mano: “Naturali contaminazioni, scultura in feltro”, a cura di Eva Basile e Lydia Predominato.
Segnalo alcune opere da cui mi sembra interessante trarre ispirazione e, perché no, provare a ripetere la tecnica:
I fuochi del redentore (cm. 120X225, 2012), di Claudio Varone e Anneke Copier: un’esplosione gioiosa di raggi luminosi aranciati su fondo grigio che “esplodono” compatti e corposi. New Identity 2 (cm. 111X255, 2016), degli stessi autori: una scultura che oppone lamellari disposizioni oblique nere e verticali gialle.
Il mio carnevale, le maschere di ogni giorno, tutti i giorni meno uno (cm. 14X19,5 cad., 2017) di Valentina Dentello, che ricama con filo rosso sei elementi rettangolari, narrando grafiche storie in cui disegni, parole e segni si mescolano e si affollano in attesa di essere decifrati.
Quella sporca dozzina (cm. 100X100x30, 2009) di Eva Basile: tredici mani in feltro sporcate con uno strato di pittura nera plastificata che – come dice l’artista – si riferiscono visivamente a una foto che ritraeva un’ambientalista con le mani imbrattate da una fuoriuscita di greggio nelle acque inquinate della foresta pluviale ecuadoriana.
Infine il gigantesco colorato cappello fuori dimensione di Barbara Girardi, Waterfall (cm. 71X90, 2018), che si colloca tra l’accessorio e la scultura.
Cover: Marilù Cecchini – Stripes
Renata Pompas
Docente Accademia Del Lusso