La protesta visiva di Banksy in mostra al MUDEC a Milano

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Banksy: basta menzionare il suo nome per catturare immediatamente l’attenzione.

Artista e writer inglese la cui identità rimane tuttora nascosta, Banksy è considerato uno dei maggiori esponenti della street art contemporanea: la sua protesta visiva riesce a coinvolgere un vastissimo ed eterogeneo pubblico e ne fa uno degli artisti più amati dalle giovani generazioni.

Le sue opere sono infatti spesso connotate da uno sfondo satirico e trattano argomenti come la politica, la cultura e l’etica: l’alone di mistero che, per scelta e per necessità, si autoalimenta quando si parla della sua figura lo fa diventare un vero e proprio mito dei nostri tempi.

Su di lui sono già state organizzate diverse mostre presso gallerie d’arte e spazi espositivi, ma mai un museo pubblico italiano e anche estero ha ospitato finora una sua monografica, con la sola eccezione di quella organizzata dall’artista stesso al Bristol Museum nel 2009.

Con l’evento partito il 21 novembre e che resterà in cartellone fino al 14 aprile 2019, il MUDEC, Museo delle Culture di Milano, ospita un’importante retrospettiva: si tratta di una mostra non autorizzata dall’artista, come tutte quelle a lui dedicate, in quanto Banksy continua a difendere non solo il proprio anonimato ma anche la propria indipendenza dal sistema.

The Art of Banksy – A visual protest è un progetto curato da Gianni Mercurio: raccoglie circa 80 lavori nonché oggetti, fotografie e video che raccontano attraverso uno sguardo retrospettivo l’opera e il pensiero dell’artista, articolandosi in sezioni che portano a una riflessione critica su quale sia (e quale potrà essere) la collocazione di Banksy in un contesto più generale della storia dell’arte contemporanea.

La mostra rientra inoltre nel più ampio progetto scientifico intitolato Geografie del futuro, progetto concepito dal MUDEC per diventare un racconto sul sapere geografico inteso come rilevamento di territori e di culture e superamento dei confini, letto attraverso la lente di diverse discipline di studio.

Il Museo delle Culture desidera riflettere insieme ai visitatori cercando di capire quali tipi di geografie definiranno i confini della nostra conoscenza nel futuro, in un mondo che riduce sempre più gli spazi grazie alla tecnologia e dove i luoghi e i non-luoghi da esplorare diventano sempre più complessi ed elusivi: con Banksy, la relazione con la geografia e il paesaggio si connotano di tratti assolutamente sociali, dalla relazione con il paesaggio umano nel quale l’artista si esprime (spesso in zone di conflitto dove anche la politica e le istituzioni faticano ad arrivare) all’attitudine sperimentale passando per la teoria secondo cui lo spazio di azione dell’artista è il territorio.

Ecco perché The Art of Banksy – A Visual Protest rientra a pieno titolo nel progetto Geografie del futuro.

Com’è strutturata la mostra?

Si parte con una sezione introduttiva che illustra i movimenti che hanno utilizzato una forma di protesta visiva attraverso la fusione di parole e immagini e con un’attitudine all’azione, movimenti ai quali Banksy fa riferimento esplicitamente per modalità espressive: dal movimento situazionista degli Anni ’50 e ’60 (con il quale Banksy condivide l’attitudine sperimentale e l’attenzione alle realtà urbane) alle forme di comunicazione ideate e praticate dall’Atelier Populaire (il collettivo di studenti che nel maggio del 1968 diffuse attraverso centinaia di manifesti i temi della protesta sui muri di Parigi), fino ad arrivare ai lavori dei writer e dei graffitisti di New York degli Anni ’70 e ’80, multiculturali e illegali per vocazione e dal forte senso di appartenenza comunitaria.

Inoltre, come gli street artist della sua generazione, anche Banksy accentua il contenuto dei messaggi politici e sociali in maniera esplicita, spostando il messaggio dalla forma al contenuto.

Tutte queste caratteristiche emergono come fondanti della sua arte e ben risaltano nel corpus di opere presentate in mostra e suddivise per temi.

Il primo tema è quello della ribellione: Banksy ci dice che, se il potere esercita la propria egemonia culturale in televisione, cinema, pubblicità, chiese, scuole e musei, lo street artist trova nella strada il luogo ideale nel quale mettere in atto una contro-egemonia. E lo fa con una serie di tecniche artistiche create ad hoc per essere veloci, seriali e riproducibili, come per esempio l’idea e la pratica della serialità o del détournement: Banksy interviene su copie di opere, esistenti e spesso universalmente conosciute, inserendo alcuni elementi stranianti che ne modificano il significato.

Il secondo tema è quello dei giochi di guerra: una gran parte dei soggetti di Banksy è infatti contro la guerra. La sua è una posizione a 360 gradi e, più che un impegno politico, è una resistenza culturale contro la guerra e contro le logiche che la producono. Tra queste, Banksy inquadra nei propri lavori la religione, l’industria bellica, lo sfruttamento del territorio. I suoi messaggi sono dunque spesso un invito alla resistenza, cioè a opporsi alle cause quale unico modo per scongiurare gli effetti e rappresenta gli inganni del potere con la consueta cupa ironia.

Il terzo tema è quello del consumismo: i lavori di Banksy sul tema del consumismo prendono di mira il capitalismo e, in particolare, il mercato dell’arte, i cui consumatori sono spesso privi della capacità critica necessaria per comprendere l’arte. Il consumo è principio e fine di una dinamica sociale che rende l’individuo sempre più incline all’acquisizione di beni materiali e all’ossessione del possesso: una dinamica basata su un’aspettativa di felicità che viene puntualmente disattesa e che crea dipendenza, come mostrano le figure ammantate che si inginocchiano davanti a un cartello che recita “Oggi fine dei saldi”, in venerante attesa di una nuova stagione di sconti.

A seguire, si trova una sala in cui viene proiettato un documentario: a cura di Butterfly Art News, appositamente realizzato per la mostra, il documentario racconta al pubblico la figura di Banksy, ne tratteggia la sua storia, ne spiega l’approccio artistico attraverso i lavori. Venti minuti di vita vissuta tra le periferie e gli spazi urbani.

Banksy si è cimentato anche nella produzione di cover di vinili e cd per importanti gruppi artistici musicali contemporanei: in mostra al Mudec possiamo trovare circa 60 copertine di dischi che spaziano dalla musica elettronica sperimentale all’hip hop, dai grandi gruppi musicali che sono sulla scena internazionale dell’elettronica (come i Durty Funker) al British hip-hop di Blak Twang, fino ai dischi dei Blur e di Paris Hilton. Un corner dedicato a questa produzione poco conosciuta di Banksy offre la possibilità al visitatore di fermarsi ad ascoltare alcune selezioni di brani da questi dischi.

Le opere sono inoltre integrate da una quarantina di memorabilia di e sull’artista: litografie, flyer promozionali, cartoline, fanzine, magazine, giornali vari, cartoline e biglietti raccontano in maniera insolita e poco vista la storia dell’artista e il suo mondo.

Uno spazio multimediale a cura dello studio Storyville chiude infine il percorso raccontando i luoghi del mondo in cui Banksy ha operato: alcuni lavori sono tuttora esistenti, molti altri sono scomparsi per incuria o sono stati rimossi.

Da questo lavoro meticoloso di mappatura emerge come il luogo fisico sia un aspetto fondamentale nel lavoro dell’artista: molti murales nascono infatti anche semplicemente in funzione dei e per i luoghi in cui sono realizzati.

Perché visitare la mostra?

Ecco 5 buoni motivi.

1. Banksy ha recentemente sorpreso il mondo dell’arte (e non solo) con l’autodistruzione programmata della sua Bambina con palloncino durante un’asta londinese: Milano – che da mesi aveva in calendario la mostra al MUDEC – dimostra di aver fatto ancora una volta centro nell’esplorazione della contemporaneità con un progetto espositivo che invita il pubblico a superare l’aspetto mediatico per conoscere le ragioni profonde del linguaggio dell’artista, le sue radici, la sua capacità di parlare a culture lontane e diverse tra loro.

2. Il MUDEC accoglie quella che possiamo a tutti gli effetti chiamare retrospettiva perché – nonostante quella di Banksy sia un’arte quanto mai attuale e spesso ospitata anche nelle pagine di cronaca – la mostra ripercorre le diverse tappe della sua attività attraverso un inedito approccio critico che parte dall’analisi delle fonti di ispirazione.

3. Il percorso risulta a suo modo accademico e insolito, ma coerente con la mission di un museo come il MUDEC, ovvero quella di fornire a ogni fascia di pubblico le chiavi di lettura per comprendere e apprezzare le culture del mondo e i grandi temi della contemporaneità attraverso tutte le arti, visive, performative e sonore.

4. Il lavoro del MUDEC si basa costantemente su un concetto fondamentale, ovvero il rispetto nei confronti di ogni cultura e dell’arte che la rappresenta: per organizzare questa mostra è stata dunque prestata la massima attenzione a non sottrarre illegittimamente da spazi pubblici opere che Banksy ha creato per la comunità, rimanendo rigorosamente in linea con i principi di fruizione che l’artista vuole per le sue creazioni. Ecco perché in mostra sono presenti solo opere di provenienza certificata da collezionisti privati.

5. Banksy è senz’altro lo street artist che meglio analizza e interpreta le grandi problematiche sociali e politiche della nostra epoca: il suo messaggio e la sua arte si manifestano come un’esplicita e mordace provocazione nei confronti dell’arroganza dell’establishment, del potere, del conformismo, della guerra, del consumismo.

È Shepard Fairey, famoso street artist americano, a dire qualcosa di molto interessante, illuminante e particolarmente calzante a proposito del lavoro di Banksy.

«Le sue opere sono piene di immagini metaforiche che trascendono le barriere linguistiche. Le immagini sono divertenti e brillanti, eppure talmente semplici e accessibili: anche se i bambini di sei anni non hanno la minima idea di che cosa sia un conflitto culturale, non avranno alcun problema a riconoscere che c’è qualcosa che non quadra quando vedono la Monna Lisa che impugna un lanciafiamme.»

E proprio questo è l’immenso potere dell’immagine, proprio questa è la sua capacità di farsi veicolo di protesta, qualcosa che Banksy è capace di padroneggiare e di applicare in modo estremamente efficace.

Emanuela Pirré
Docente di Accademia del Lusso